Piperno: si può insegnare a scrivere?Si può tirare fuori una voce

I grandi scrittori italiani nel master dell'Accademia Molly Bloom

GIU 23, 2022 -

Roma, 23 giu. (askanews) – Si può insegnare a scrivere un romanzo? E poi, oggi che la narrazione ha tante forme e strumenti diversi, come si impara a scrivere per il cinema, o per un podcast, una traduzione? L’Accademia Molly Bloom di Roma ha messo insieme i più importanti scrittori italiani, da Alessandro Piperno a Sandro Veronesi, Francesco Piccolo, Emanuele Trevi, Nadia Terranova, Camilla Baresani, Walter Siti, e tanti professionisti dello spettacolo, dei media, delle aziende, per un master biennale in scrittura creativa. Due anni di corso, 1200 ore di lezioni e laboratori, per chi sogna di diventare romanziere, poeta, sceneggiatore, drammaturgo, cantautore, giornalista, esperto di scrittura digitale.

Alessandro Piperno, direttore della sezione di Letteratura del Master, risponde così alla domanda: si può insegnare a scrivere?

“Non si può insegnare a scrivere in senso stretto, lo si può fare in senso più largo, ed è un’operazione piuttosto complessa. Si può insegnare a tirare fuori una voce. Per tirare fuori una voce il procedimento è piuttosto complesso, perché serve molta abnegazione, significa capire che scrivere significa in qualche modo confrontarsi con la propria inettitudine e la propria mediocrità. Significa soprattutto lavorare tutto il giorno, no tutto il giorno non è necessario, ma lavorare tutti i giorni, imparare ad avere un metodo. E forse se c’è qualcosa, diciamo, in fondo al tuo cuore un esercizio di questo tipo può tirartelo fuori. A quel punto nel momento in cui hai la tua voce puoi andare sulle tue gambe, mettiamola così”.

Un settore in grande sviluppo è quello della produzione audiovisiva e oggi le piattaforme streaming richiedono per film e serie tv idee nuove e una narrazione diversa. Alice Urciuolo, giovane cosceneggiatrice di “Skam” o “Rocco Schiavone”, nel master di Molly Bloom insegnerà a scrivere per lo spettacolo.

“Il corso nel primo anno si chiama ‘lo sguardo’, non a caso, perché penso che adesso nel mondo della serialità si è molto alla ricerca di storie nuove ma soprattutto di punti di vista nuovi. Un punto di vista nuovo su una storia magari già vista può dare vita a un mondo narrativo, una storia, un personaggio completamente differenti: è un esercizio di pensiero che si può fare e che dà anche vita a storie più inclusive”.