Mostri e demoni: alla scoperta delle creature infernali di Dante

Nuova tappa del viaggio del poeta, tra Cerbero e Lucifero

AGO 6, 2021 -

Roma, 6 ago (Askanews) – “Lo ‘mperador del doloroso regno da mezzo ‘l petto uscìa fuor de la ghiaccia; e più con un gigante io mi convegno, che i giganti non fan con le sue braccia: vedi oggimai quant’esser dee quel tutto ch’a così fatta parte si confaccia.

S’el fu sì bel com’elli è ora brutto, e contra ‘l suo fattore alzò le ciglia, ben dee da lui proceder ogne lutto. (Canto XXXIV Inferno)

 

L’inferno di Dante è un regno di angoscia e mostruosità, una buia voragine a forma di cono fino al centro della terra e qui, nella pianura ghiacciata del fiume Cocìto, nel mezzo del IX Cerchio, quello dei traditori, sta Lucifero-Satana, l’angelo che si ribellò al Creatore e precipitò. L’angelo che fu più bello e luminoso è ora un’orrida creatura, pelosa, con tre paia d’ali di pipistrello, tre facce, di colori diversi, su una sola testa. Il principe dei diavoli.

 

“La mostruosità, la deformazione dell’immagine umana – questo argomento che sembra fatto apposta per solleticare la nostra curiosità – spiega la professoressa all’Università La Sapienza di Roma, Sonia Gentili, scrittrice e dantista – in realtà una categoria di estremo impegno concettuale, che permette una lettura complessiva della Commedia. La deformazione dell’immagine umana è innanzitutto una categoria di tipo filosofico-teologico. Secondo Sant’Agostino il peccato è il raggiungimento della regione della dissimilutidine. Vuol dire che ci si distanzia dall’immagine che Dio ha dato all’uomo, che è la sua immagine, poiché Dio ha creato l’uomo a propria immagine e somiglianza. La deformità, la dissimilitudo è dunque la deformazione morale e dunque estetica dell’immagine umana”.

 

“Questa straordinaria categoria di rappresentazione del peccato che ha un’enorme potenziale anche di tipo iconografico – prosegue la dantista – sorregge l’intera Commedia che può essere considerata come un percorso di avvicinamento a Dio, di riavvicinamento all’immagine umana, dalla deformazione dell’immagine umana dell’Inferno, fino al recupero della pienezza dell’immagine umana e divina del Paradiso. I dannati sono per eccellenza coloro che sono deformati e dissimili dall’immagine dell’uomo e di Dio e dunque sono piombati in una regione di dissimilitudine e di bruttezza. Lucifero che era bellissimo, era il primo degli Angeli, dopo il peccato, dopo la caduta, è divenuto un mostro”.

 

“I dannati condividono questa dimensione di deformazione con i demoni, anche i demoni rappresentano questa bruttezza non solo per la loro azione di ribellione a Dio, e dunque per la perdita dell’immagine divina anche in se stessi, ma anche perché l’immagine del demone nella Commedia recupera una tradizione classica estremamente affascinante che rappresenta la voragine infernale e i mostri che la abitano, come una sorta di gola divoratrice dei dannati. mmagine fondamentale di questa dimensione demoniaca è Cerbero”.

 

Nel VI Canto dell’Inferno incontriamo Cerbero, demoniaco cane a tre teste dagli occhi vermigli. Pelo irsuto e nero, con le sue tre gole latra e assorda i dannati, con gli artigli li graffia e scuoia. Dante lo mette a guardia dei golosi. Anche Virgilio aveva messo Cerbero negli Inferi in cui discendeva Enea, e come nell’Eneide, anche nella Commedia il mostro cerca di impedire la discesa, la catabasi.

 

“Con una differenza rispetto al modello virgiliano. La sibilla – spiega Sonia Gentili – per consentire a Enea di procedere nel suo viaggio, getta nelle fauci di Cerbero affamato una sorta di polpetta di erbe soporifere e di miele. Invece Virgilio, compie lo stesso gesto, per far procedere se stesso e Dante ma getta una manata di terra. Perché? Perché nell’interpretazione tardo-antico medievale del Cerbero virgiliano, Cerbero è il simbolo della terra che divora i cadaveri. Cerbero è il mostro creon – parola greca e vorans, parola latina, la bocca che divora i cadaveri. Immagine di tutto l’Inferno. Non a caso Lucifero è intento nell’atto di maciullare i tre dannati per eccellenza”.

 

Lucifero maciulla con le sue tre bocche i più grandi traditori della tradizione: Bruto, Cassio, e Giuda. Lacrime si mescolano a bava sanguinolenta. Dopo aver incontrato bolge di dannati, schiere di diavoli, demoni, arpìe, giganti, minotauri, mostri alati, è l’ultimo terrificante spettacolo di dolore infernale. Dante e Virgilio si aggrappano al pelo del mostro, conficcato dalla busto in giù nel ghiaccio, scendono lungo le sue costole, oltrepassano la crosta di gelo e si ritrovano nell’altro emisfero, dove sporgono le zampe di Lucifero. Qui, i due poeti raggiungono una fenditura nella roccia, percorrono uno stretto cunicolo che li porta fuori da quel regno oscuro, all’aperto.

 

Lo duca e io per quel cammino ascoso intrammo a ritornar nel chiaro mondo; e sanza cura aver d’alcun riposo, Salimmo sù, el primo e io secondo, tanto ch’i’ vidi de le cose belle che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo. E quindi uscimmo a riveder le stelle. (Canto XXXIV Inferno)

 

Progetto a cura di: Serena Sartini e Giovanna Turpini, con la voce di Pino Insegno

 

Montaggio di: Carlo Molinari