Giovedì 9 dicembre 2021 - 15:15
Tra critica e pubblico, Lina Wertmuller riconciliava gli opposti
Dai burattini alla grande stagione del cinema anni 70 italiano

Allo stesso modo si possono leggere le storiche collaborazioni con attori come la coppia Giannini-Melato, anche questa proveniente da una granitica base teatrale, a cui si affiancano i progetti con Rita Pavone, negli anni Sessanta popstar nazionale in Italia, per la produzione tv de “Il giornalino di Gian Burrasca”. Alto e basso, insomma, mai distinti, sempre rielaborati con un occhio tra il divertito e il militante, e pure in questo dittico di aggettivi così distanti nella storia d’Italia, probabilmente, si trova una sorta di mappa della costante duplicità e originalità della sua ispirazione.
I film di Lina Wertmuller, come certifica anche il “Dizionario dei registi del cinema mondiale” Einaudi, sono “strettamente connessi alla vita culturale del Paese e hanno tutti gli ingredienti per diventare prodotti di successo: il tono farsesco e aneddotico; la politica come sfondo di vicende erotico-sessuali; un linguaggio che intreccia battute salaci con il dialogo impegnato; l’attenzione messa nel colorire le figure”. In questa adesione a una società e a un tipo di racconto che comunque nasce dalla figura del cantastorie e della commedia dell’arte, in questo cercare di modellare anche i film sul mondo che i film stessi provano a descrivere (con tutte le licenze che consente la presenza di un Fellini, con cui Wertmuller lavora dai tempi di 8 e 1/2) si trova nel lavoro della regista anche una possibile rappresentazione complessiva (una sineddoche direbbero quelli che masticano i termini forbiti delle figure retoriche) di un momento di grande vitalità del cinema italiano degli Anni Settanta, periodo che è stato per molti versi il più difficile e tragico del secondo Novecento. Ancora una volta due opposti che si toccano anche attraverso l’opera di Lina Wertmuller.
Senza stare a ricostruire una filmografia, quello che sembra attraversare tutti i progetti più riusciti della cineasta con gli occhiali bianchi e con i titoli lunghissimi è la messa in scena di personaggi che hanno una consapevolezza del mondo, per quanto dolorosa e problematica. A volte quasi furiosa. E questa linea di pulizia resta anche nei momenti più grotteschi o scollacciati, resta perché è connaturata alla tradizione italiana (dobbiamo citare Eduardo?, forse non serve neppure), a quel teatro che è stato anche una forma di militanza e di ri-costruzione di un’identità culturale nazionale che ha conosciuto praticamente solo momenti di grande fragilità. Come se avessimo sempre tutti vissuto in una crisi di governo dei nostri cuori e non solo della politica. Forse il cinema di Lina Wertmuller ha avuto successo perché ha provato a raccontare proprio questa crisi.
(Leonardo Merlini)