A caccia di un bagliore da fusione buco nero e stella di neutroni

Nessuna controparte visibile dell'evento è stata rilevata finora

NOV 6, 2020 -

Roma, 6 nov. (askanews) – Scoperta il 14 agosto 2019 dagli interferometri della collaborazione internazionale Ligo/Virgo, la fusione tra una stella di neutroni di 2,6 masse solari e un buco nero di 23 masse solari (NSBH merger, in inglese) desta ancora l’interesse degli scienziati di tutto il mondo i quali continuano la ricerca della controparte visibile del drammatico scontro, vale a dire la kilonova o la firma elettromagnetica di uno scontro di questa portata. La fusione cosmica è stata classificata con la sigla GW190814 e ha generato un buco nero di circa 25 volte la massa del Sole. Ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) hanno coordinato una campagna osservativa insieme a colleghi di varie nazioni sfruttando numerosi telescopi nella banda della luce visibile e dell’infrarosso. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Eventi di fusione tra stelle di neutroni e buchi neri nel cosiddetto gap di massa – spiega l’Inaf – sono rari e difficili da osservare. La stella di neutroni più pesante conosciuta non supera le 2,5 masse solari e il buco nero più leggero conosciuto è di circa 5 masse solari; ciò che esiste nel mezzo è tuttora sconosciuto. Catturare una fusione stella di neutroni/buco nero in atto è un compito arduo perché la firma delle onde gravitazionali generate da questo tipo di eventi è molto simile a quella dello scontro di due buchi neri di piccola massa.

Aishwarya Thakur, primo autore dello studio e dottorando presso l’INAF di Roma, spiega: “L’analisi dell’evento raffinata dai team LIGO/VIRGO ha mostrato come l’oggetto più leggero del sistema, inizialmente classificato come stella di neutroni, è in realtà nella zona sconosciuta, nel gap di massa tra le stelle di neutroni e i buchi neri, e quindi potrebbe essere o la stella di neutroni più pesante o il buco nero più leggero mai osservato”. Le osservazioni del team hanno coperto tutte le possibili modalità di ricerca della controparte: dai telescopi a grande campo, come il Deca-Degree Optical Transient Imager (DDOTI), per scrutare la vasta regione di cielo da cui l’evento di onde gravitazionali poteva provenire, al Lowell Discovery Telescope (LDT) per osservare le galassie contenute nel campo, passando per l’osservazione dettagliata dei colori e degli spettri dei possibili candidati con i telescopi Reionization and Transients InfraRed (RATIR) e Gran Telescopio de Canarias (GTC). Le osservazioni non hanno messo in evidenza alcuna controparte visibile.

Il primo autore prosegue: “La sensibilità dei telescopi utilizzati avrebbe permesso di trovare la luce emessa dopo la fusione se l’evento avesse rilasciato un residuo della fusione più massiccio di un decimo della massa del nostro sole. I modelli di fusione prevedono resti di una stella di neutroni che possono essere relativamente piccoli (meno di un decimo della massa del Sole) e, in questo caso, con emissione di luce più debole di quanto rilevabile dai telescopi alla distanza di GW190814, 800 milioni di anni luce”.

Luigi Piro, ricercatore all’INAF di Roma a guida del team italiano che ha partecipato allo studio, commenta: “Le osservazioni elettromagnetiche permettono di discernere la natura dell’oggetto nella regione del gap di massa. Stella di neutroni o buco nero? Nel caso di una fusione di due buchi neri non ci si aspetta alcuna emissione elettromagnetica, in quanto tali eventi non lasciano residui, mentre questa è possibile se uno dei due componenti è una stella di neutroni che, prima di essere inghiottita dal buco nero, viene distrutta, lasciando un residuo che energizza la produzione di luce dopo la fusione. La presenza di una sorgente di luce dopo la fusione è quindi la pistola fumante che identifica come stella di neutroni l’oggetto nel gap di massa”.

“Le attuali osservazioni astrofisiche – aggiunge Piro – sembrano mostrare una carenza di sistemi binari compatti nel gap di massa e, se ciò fosse confermato, ci aiuterebbe a capire come questi oggetti si formano a seguito della esplosione di supernovae. Ci aspettiamo che le prossime osservazioni di onde gravitazionali possano identificare altri potenziali eventi nel gap di massa e il nostro team sarà pronto a cercare la controparte elettromagnetica, elemento fondamentale per risolvere il mistero del gap di massa”.

Simone Dichiara, secondo autore dello studio nonché ricercatore presso l’Università del Maryland, sottolinea: “Nessuna sorgente credibile è stata trovata, ma tanto si è imparato da questa non-detezione. L’articolo dimostra che si possono effettuare con successo studi multi-messaggeri anche in caso di non rilevazioni. Il fatto che la sorgente di luce associata all’evento sia più debole del livello raggiunto dai telescopi permette di escludere modelli che prevedono un’emissione di luce molto luminosa, come avviene per esempio quando il buco nero non riesce a inglobare quasi tutta la stella di neutroni, ma ne lascia libera una frazione significativa”. E conclude: “L’esperienza ottenuta con questa campagna osservativa permette di migliorare le procedure di ricerca di eventi così elusivi, in preparazione al prossimo run delle antenne gravitazionali, previsto nel 2022”.