Stelle morenti svelano l’origine del carbonio nella Via Lattea

Studio team internazionale guidato da Paola Marigo (Unipd-Inaf)

LUG 6, 2020 -

Roma, 6 lug. (askanews) – Circa il 90% di tutte le stelle, quelle con massa iniziale fino a circa 8 volte la massa del Sole, terminano la loro vita come nane bianche, resti stellari molto densi e compatti destinati a raffreddarsi per sempre, divenendo via via meno luminosi. Prima che ciò accada, negli ultimi respiri di vita, queste stelle lasciano un’ultima importante eredità, spargendo delicatamente le loro ceneri nello spazio circostante nelle magnifiche sembianze di nebulose planetarie. Queste ceneri, diffuse nel cosmo attraverso i cosiddetti “venti stellari”, sono arricchite con molti elementi chimici, tra cui il carbonio, da poco creati negli strati più profondi della stella durante le ultime fasi prima della morte.

Il carbonio è essenziale per la vita sulla Terra, ogni atomo di carbonio nell’universo è stato creato dalle stelle, attraverso la fusione di tre nuclei di elio. L’origine del carbonio nella nostra galassia, la Via Lattea, è ancora oggi oggetto di vivace dibattito tra gli astrofisici. Alcuni studi sono a favore di stelle di piccola massa che eiettarono nello spazio i loro mantelli esterni per mezzo di venti stellari e divennero nane bianche, altri collocano il sito principale della sintesi del carbonio nei venti di stelle massicce che alla fine esplosero come supernovae.

Lo studio pubblicato su “Nature Astronomy” con il titolo “Carbon star formation as seen through the non-monotonic initial-final mass relation” dal team internazionale di ricercatori guidato dalla Professoressa Paola Marigo del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Galileo Galilei” dell’Università di Padova e associata all’Istituto Nazionale di Astrofisica indica che le nane bianche possono dare risposte sull’origine del carbonio nella Via Lattea.

Grazie a osservazioni astronomiche condotte tra agosto e settembre 2018 all’Osservatorio Keck, sito in prossimità della cima del vulcano Mauna Kea alle Hawaii, – spiegano Università di Padova e Inaf in una nota congiunta – i ricercatori hanno scoperto e analizzato alcune nane bianche situate in ammassi stellari aperti della Via Lattea. Gli ammassi stellari aperti sono gruppi di stelle – fino a qualche migliaio – tenute insieme dalla reciproca attrazione gravitazionale. Esse si formarono dalla stessa nube molecolare gigante e hanno all’incirca la stessa età.

Dal un lato, attraverso i telescopi Keck, si sono analizzati i loro spettri ed è stato possibile così misurare le masse delle nane bianche, dall’altro, usando la teoria dell’evoluzione stellare, i ricercatori sono stati in grado di risalire alle stelle progenitrici, derivandone le loro masse alla nascita. Il rapporto tra le masse iniziali delle stelle e le masse finali delle nane bianche si chiama “relazione massa iniziale-massa finale”, uno strumento fondamentale in astrofisica in quanto racchiude l’informazione integrata dell’intero ciclo di vita delle stelle, collegando la nascita alla morte. La relazione massa iniziale-massa finale è sempre stata descritta, sia su basi osservative che teoriche, avere un andamento crescente: più la stella è massiccia alla nascita, più grande sarà la massa della nana bianca che rimarrà alla sua morte.

“Una volta confrontati i nuovi dati delle nane bianche con la relazione massa iniziale-massa finale, ci siamo trovati di fronte ad un risultato inaspettato e, in un certo senso, bizzarro: le masse di quelle nane bianche erano significativamente più grandi di quanto credessero fino ad oggi gli astrofisici. Non solo, ci siamo resi conto – dice Léo Girardi dell’INAF di Padova – che la loro inclusione interrompeva la crescita lineare, introducendo una sorta di piccola increspatura nella relazione, in corrispondenza a stelle nate con una massa attorno a due volte la massa del Sole. Stelle nate all’incirca 1,5 miliardi di anni fa nella nostra Galassia non hanno prodotto nane bianche di circa 0,6-0,65 masse solari, come fino a oggi si poteva supporre, bensì, morendo, hanno lasciato dietro sé resti compatti più massicci, fino a circa 0,7-0,75 masse solari”.

(segue)