Quirinale, Mattarella chiude mandato. Un settennato senza bis?

Il "successore" chiesto ai partiti, nel solco della Costituzione

GEN 22, 2022 -

Elezioni Quirinale Roma, 22 gen. (askanews) – Il settennato di Sergio Mattarella al Colle termina il 3 febbraio prossimo e lunedì 24 gennaio cominceranno le votazioni per l’elezione del suo successore. Un periodo, quello del giurista siciliano, trascorso al Colle in coincidenza con l’esplosione del modello politico sovranista, populista – apparso in tutta la sua interezza dopo le elezioni politiche del 2013 – targato M5S. Urne che provocarono, vista l’incapacità dei partiti (tradizionali e emergenti) di trovare una sintesi di governo, uno stallo preoccupante. Dopo la crisi politica ed economica del 2011, che portò Giorgio Napolitano di fatto a sostituire il premier in carica Silvio Berlusconi con Mario Monti, i partiti, il Parlamento, non riuscirono a creare un modello di governo efficace, tanto meno dopo le elezioni del 2013. I partiti di fatto furono obbligati a rivolgersi a Napolitano perché continuasse a gestire e tentare di risolvere (attraverso un eccezionale bis di mandato) i problemi e gli scontri conseguenti che attraversavano il panorama politico italiano. Insomma un presidenzialismo di fatto, consentito da una estensione dei poteri a fisarmonica del presidente della Repubblica, che si allargano e si restringono come lo strumento musicale secondo la definizione, fra gli altri, di Giuliano Amato. Nel 2015 quando Napolitano si dimise venne eletto Sergio Mattarella. Una figura, quella dell’allora giudice costituzionale, che si è calata naturalmente nell’arena politica, pur senza avere l’interventismo di Napolitano né quello di Oscar Luigi Scalfaro (presidente che ha attraversato prima il periodo della crisi dei partiti e delle violente inchieste giudiziarie di Mani Pulite del 1992 e poi della divisiva figura di Silvio Berlusconi premier, dal 1994, e leader di Forza Italia primo partito italiano allora). Mattarella, con il suo garbo e il suo sorriso, con la sua voce pacata è come se avesse riportato i poteri del Colle nel loro alveo naturale. Non un notaio estraneo a quello che accade ma neanche una parte in causa nello scontro politico. E ribadendo in tante occasioni come il Parlamento sia sovrano e non tocchi al capo dello Stato intervenire nella dialettica, nei dibattiti fra partiti, negli scontri fra maggioranza e opposizione. In ogni caso anche il presidente uscente è stato costretto a prendere decisioni “politiche”, come il no all’economista anti euro Paolo Savona a ministro dell’Economia nel governo giallo verde del 2018 (dopo le elezioni che videro il trionfo di M5s e Lega). Per questo fu attaccato da M5s con una improbabile sollecitazione all’impeachment all’americana (strumento che non esiste nella nostra Costituzione). Oppure la scelta di Mario Draghi, a inizio del 2021, alla guida di un governo non politico, dopo l’ennesimo blocco e fallimento di tutti i tentativi – come accadde a Napolitano – fatti con le forze politiche. Insomma un ruolo determinante, quello di Mattarella, ma con poteri definiti e chiari, sempre e secondo Costituzione. Si è affermata comunque con gli ultimi presidenti della Repubblica, in particolare a partire dal 1992, sempre più la centralità della figura del capo dello Stato. Non dobbiamo dimenticare l’importanza di Carlo Azeglio Ciampi nel rilanciare l’immagine del nostro Paese, con l’eccezionale significato (formale, rituale, emotivo) assegnato al nostro Tricolore come simbolo dell’unità nazionale. Con l’avvicinarsi della fine del settennato, riconoscendo – da ultimo – la sua capacità di risolvere con Draghi un impasse politico (che sembra permanere peraltro) tanto più preoccupante in una situazione di grave pandemia Covid e di difficoltà economiche, a Mattarella è stato chiesto più o meno direttamente di rimanere al Quirinale, offrendosi ad una elezione bis. Una richiesta respinta al mittente dal presidente. Il discorso di fine anno appare coerente con il suo settennato. Ha sottolineato che ciascun presidente della Repubblica deve “spogliarsi di ogni precedente appartenenza” facendosi carico del bene comune e “salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che – esercitandoli pienamente fino all’ultimo giorno del suo mandato – deve trasmettere integri al suo successore”. Sull’ipotesi di bis è stato molto chiaro, con riferimento a Luigi Einaudi che nel 1954 disse: “Il dovere del presidente della Repubblica è evitare che si pongano precedenti grazie ai quali accada o sembri accadere che egli trasmetta al suo successore, immuni da ogni incrinatura, le facoltà che la Costituzione gli attribuisce”. Quindi un mandato è più che sufficiente. Intervenendo nel 2018 a Dogliani (luogo dove Einaudi è sepolto) Mattarella ha voluto sottolineare l’importanza di garantire la continuità e la Costituzione tra un presidente e l’altro. Ribadendo, in occasioni più recenti, lo stesso concetto e facendo sue affermazioni di predecessori sulla necessità di abolire il semestre bianco. Sottolineando come l’eccezione di Napolitano sia stata tale e tale debba rimanere. La politica è immersa in queste ore nelle trattative per la ricerca di un profilo, di un nome che succeda a Mattarella. La figura di Draghi sembra prendere quota ma il quadro non è ancora definito. La cosa certa invece è la posizione dell’attuale capo dello Stato, come dicevamo ormai la stessa da mesi. Tocca alle forze politiche trovare una soluzione allo stallo di questi mesi, sia negli accordi per la gestione del Paese che sul nome del futuro presidente. No ad un bis, non sarebbe istituzionalmente corretto ha lasciato intendere ancora una volta giovedì scorso quando ha presieduto per l’ultima volta il Csm: vi auguro, ha detto, che lavoriate bene con il mio successore. Più chiaro di così.