Fine vita, Civiltà cattolica: la legge meglio del referendum

Ma è migliorabile la proposta in discussione in Parlamento

GEN 13, 2022 -

Eutanasia Città del Vaticano, 13 gen. (askanews) – La Civiltà cattolica, quindicinale dei gesuiti pubblicato con l’imprimatur della Segreteria di Stato vaticana, interviene nel dibattito in merito al fine vita con un articolo nel quale, pur mettendo in evidenza i passaggi migliorabili, promuove l’idea di una legge sul suicidio assistito, prossimamente in discussione in Parlamento, che rappresenterebbe un “argine di fronte a un eventuale danno più grave”, ossia il previsto referendum sull’omicidio del consenziente. Padre Carlo Casalone, gesuita e medico, membro della Pontificia accademia per la vita, analizza punto per punto il testo sulla “morte volontaria medicalmente assistita”, discussa il 13 dicembre scorso e il cui voto è previsto nel prossimo febbraio, relatori Alfredo Bazoli (Pd) ed Nicola Provenza, (M5S), arrivando alla conclusione di “non scartare il sostegno alla proposta di legge (PdL), con alcune auspicabili modifiche, come via per promuovere responsabilmente la tutela della vita e il bene comune possibile”. “La domanda che si pone – scrive padre Casalone – è, in estrema sintesi, se di questa PdL occorra dare una valutazione complessivamente negativa, con il rischio di favorire la liberalizzazione referendaria dell’omicidio del consenziente, oppure si possa cercare di renderla meno problematica modificandone i termini più dannosi. Tale tolleranza sarebbe motivata dalla funzione di argine di fronte a un eventuale danno più grave. Il principio tradizionale cui si potrebbe ricorrere è quello delle ‘leggi imperfette’, impiegato dal Magistero anche a proposito dell’aborto procurato. Il criterio non sarebbe qui spendibile in modo automatico, perché siamo di fronte più a rischi che a certezze: non si tratta qui di migliorare una legge più permissiva già vigente. Eppure, in questo contesto, l’omissione di un intervento rischia fortemente di facilitare un esito più negativo”. Inoltre, “per la situazione del Paese e il richiamo della Corte costituzionale al Parlamento, ci sembra importante che si arrivi a produrre una legge. La latitanza del legislatore o il naufragio della PdL assesterebbero un ulteriore colpo alla credibilità delle istituzioni, in un momento già critico. Pur nella concomitanza di valori difficili da conciliare, ci pare che non sia auspicabile sfuggire al peso della decisione affossando la legge. Diverse forze politiche si muovono in questo senso, benché con opposte motivazioni: chi per sgombrare la via verso il referendum e agevolare la vittoria del ‘sì’, chi per rinviare sine die la discussione su una tematica spinosa. Nell’attuale situazione culturale e sociale, sembra a chi scrive da non escludersi che il sostegno a questa PdL non contrasti con un responsabile perseguimento del bene comune possibile”. Nell’articolo sulla Civiltà cattolica padre Casalone deplora il fatto che la legge del 2017 su “Consenso informato e Disposizioni anticipate di trattamento” (Dat), “pur non mancando elementi problematici e ambigui”, avrebbe però “potuto essere un punto soddisfacente su cui arrestarsi, anche perché la legge è ancora poco conosciuta e praticata”. Ma molti eventi sono avvenuti nel frattempo: il gesuita ricapitola la vicenda giuridica e politica a monte della proposta di legge, dalla morte di Fabiano Antoniani, più conosciuto come dj Fabo, alla vicenda giudiziaria del radicale Marco Cappato, alla conseguente sentenza della Corte costituzionale 242/2019, passando dalla vicenda, recentemente nota alle cronache, di “Mario”, paziente sul quale si è espresso il Comitato etico regionale delle Marche, fino al referendum promosso dall’Associazione Luca Coscioni sull’art. 579 del Codice penale, che tratta dell’omicidio di una persona consenziente, consultazione popolare sulla quale il gesuita esprime un giudizio chiaramente negativo perché, se passasse, procurerebbe “un grave vulnus nell’ordinamento giuridico riguardo a un bene fondamentale, qual è la vita”. In questa congiuntura, prosegue il quindicinale dei gesuiti, la proposta di legge sul suicidio assistito “costituire un argine, benché imperfetto ed esso stesso problematico: pur senza fornire un argomento giuridico per far decadere il referendum, poiché tratta un articolo diverso del Codice penale, sarebbe tuttavia un punto di appoggio politico per sostenere, quanto meno, un voto contrario”. Nel merito, padre Casalone suggerisce una serie di proposte migliorative con cui emendare il testo in discussione in Parlamento, qualificando meglio i trattamenti di sostegno vitale, aggiungendo che la loro sospensione condurrebbe al decesso “in modo diretto e in tempi brevi”; mettendo in guardia dalla ambivalenze nell’uso di concetti come consenso e autonomia, e esplicitando pertanto un’espressione come “assistenza al suicidio”; sottolineando il valore di relazioni, fiducia e interdipendenza nella vita di una persona; introducendo l’obiezione di coscienza, sinora assente dalla proposta di legge; precisando meglio l’opportunità delle cure palliative. Padre Casalone non manca di mettere in rilievo che, di fondo, “l’esperienza dei Paesi in cui è consentita la morte (medicalmente) assistita mostra che la platea delle persone ammesse tende a dilatarsi: ai pazienti adulti competenti si aggiungono pazienti in cui la capacità decisionale è compromessa, talvolta gravemente. Sono inoltre cresciuti i casi di eutanasia involontaria e di sedazione palliativa profonda senza consenso. Assistiamo quindi a un esito contradditorio: in nome dell’autodeterminazione si arriva a comprimere l’esercizio effettivo della libertà, soprattutto per coloro che sono più vulnerabili; lo spazio dell’autonomia, di cui il consenso vorrebbe essere espressione, viene gradualmente eroso”. Il gesuita non manca di cogliere un dato che fa da sfondo alla discussione: “Sembra paradossale che nel tempo della pandemia, quando l’impegno collettivo è tutto proteso a tutelare la salute dei cittadini, si discuta di rendere lecito l’aiuto a togliersi la vita. Il paradosso mette però in evidenza una dinamica che attanaglia la medicina . Se all’impresa biomedica si assegna il compito di dominare i processi biologici e rispondere al desiderio di salute di ciascuno, allora sembra plausibile chiederle – quando fallisce l’obiettivo e la sofferenza viene ritenuta intollerabile – di abbreviare la vita: è l’ultimo passo per esercitare il controllo”. Ma, scrive il gesuita su Civiltà cattolica, “l’onda del contagio globale ha, da una parte, smentito il mito del controllo e, dall’altra, evidenziato l’importanza di un atteggiamento di cura che non si limiti ai soli soggetti umani”.