Provenzano: al Sud non sarà tolto un soldo

Grave errore del passato contrapporre riequilibrio e sviluppo

MAG 21, 2020 -

Roma, 21 mag. (askanews) – I fondi europei di coesione destinati al Sud resteranno al Sud, dice il ministro per il Sud e la coesione territoriale Giuseppe Provenzano in una lunga intervista che esce il 22 maggio sul settimanale Left, che dedica la storia di copertina al Sud come grande occasione per la ripresa

Intervistato da Simona Maggiorelli, direttrice responsabile del settimanale Left, Provenzano afferma: “non un soldo sarà tolto al Sud”. “Mettere in contrapposizione sviluppo e riequilibrio territoriale è un errore del passato, da non ripetere. Ricordo che tra il 2009 e il 2011, con l’allora ministro Tremonti, circa 26 miliardi di spesa in conto capitale vennero dirottati dal Sud per coprire spese nazionali. A pagare le conseguenze del mancato investimento nel Mezzogiorno è tutto il Paese. L’Italia, per rialzarsi, deve sanare le sue fratture sociali e territoriali. Ecco perché la riprogrammazione delle risorse europee e nazionali della coesione va fatta, ma nel rispetto dei vincoli territoriali. Un momento dopo che abbiamo sancito che le risorse restano al Sud, infatti, vanno spese. Recuperando i ritardi del passato, che erano uno scandalo prima e ora, con l’emergenza economica e sociale, diventerebbero un crimin!».

Come evitare sprechi? “Bisogna far sì – risponde il ministro Provenzano – che queste risorse, pensate per investimenti strategici, per i quali abbiamo previsto con legge un meccanismo di salvaguardia, vadano a finanziare spese a pioggia, prive di coordinamento con le misure nazionali. Per questo ho proposto, d’accordo con la Commissione, delle linee guida nazionali per la riprogrammazione: questa riprogrammazione dev’essere l’occasione per rafforzare in maniera strutturale gli interventi sanitari, per colmare il divario digitale a partire dalla scuola, per sostenere i settori più colpiti anche con aiuti al circolante, per promuovere innovazione sociale con i Comuni e con le reti della cittadinanza attiva”.

E riguardo agli interventi previsti dal governo e da molti al Sud giudicati insufficienti: “la crisi sanitaria, economica e sociale che stiamo vivendo è una grande tragedia collettiva – risponde Giuseppe Provenzano a Left -. Si dice che le tragedie uniscano, e in parte è vero. Ma allo stesso tempo fanno emergere e mettono in risalto le fragilità e rischiano di allargare le disuguaglianze, che nel nostro Paese hanno sempre una forte connotazione territoriale. Se la crisi sanitaria ha colpito soprattutto le Regioni più sviluppate, la ricaduta economica e sociale al Sud si somma a fragilità strutturali e alle ferite non ancora sanate dalla crisi precedente. Come governo, abbiamo mobilitato risorse senza precedenti nella storia d’Italia. In due mesi, 80 miliardi in deficit, quello che solitamente si fa in 4 o 5 manovre di bilancio. È stato necessario, per non lasciare indietro nessuno”.

Ma poi ammette. «Si può sempre fare di più. Io, per dire, avevo chiesto che il Reddito di emergenza valesse per tre mesi e non solo per due. Nel complesso, però, rivendico di esserci mossi per salvare il tessuto imprenditoriale ma anche quello sociale. E, me lo lasci dire, per la prima volta in una crisi di queste dimensioni, a pagare il prezzo non è stato il Sud. Nel decreto Rilancio l’impegno del ministro della Salute Roberto Speranza per aumentare i posti letto in terapia intensiva riguarda per quasi il 40% il Sud». Quanto alla coesione territoriale, il ministro Provenzano rispondendo alla direttrice responsabile di Left Simona Maggiorelli, afferma: « l’Italia ha bisogno di un lavoro di ricucitura territoriale, per questo nel decreto c’è un forte sostegno alle aree interne, non ridotte a un “piccolo mondo antico”, ma attraverso servizi moderni, innovazione produttiva e sociale, attenzione trasversale per la sostenibilità. Ma ha bisogno anche di ricucitura sociale, che le istituzioni non possono fare da sole. Il Terzo settore nel Mezzogiorno è un valore in sé, e per questo lo sosteniamo investendo 120 milioni. Le scelte che abbiamo preso per il Mezzogiorno indicano, credo, un percorso per tutto il Paese».

Che ne sarà ora del Piano Sud 2030 presentato prima del Lockdown? «il Piano Sud 2030 diventa ancora più attuale – assicura il ministro -. Non solo per le missioni di investimento individuate: scuola, salute, connessione digitale, sostenibilità. Ma per un punto di fondo. L’Italia deve riaccendere i motori, si dice. Ecco, bisogna accenderli tutti, compresi quelli che prima giravano piano o erano rimasti a lungo spenti. Un Paese di 60 milioni di abitanti non può farcela puntando solo su poche aree urbane e su alcune imprese “gazzelle” in grado di competere nel mondo». Come sottrarre il Sud al ricatto delle mafie che approfittano degli effetti della pandemia per riguadagnare terreno? «Sappiamo che nelle crisi le mafie approfittano dei vuoti dello Stato, dei ritardi della liquidità e delle risposte sociali, per incunearsi con la loro risposta criminale. Le istituzioni non si sono fatte trovare impreparate, credo: hanno avvertito il rischio – che io per primo ho sollevato – e mantenuto alta l’attenzione. Lo stesso giorno in cui intelligence e forze dell’ordine lanciavano l’allarme, il varo di un piano di aiuti alimentari di 400 milioni ha mostrato il volto di uno Stato che non vuole lasciare spazi alle mafie. La sicurezza si difende rafforzando gli argini sociali, dando risposte ai bisogni. Le mafie, dobbiamo ricordarcelo, coinvolgono tutto il territorio nazionale, ma al Sud c’è un motivo di preoccupazione ulteriore: il rischio di fallimento delle imprese meridionali è di quattro volte superiore che per quelle del Centro-Nord. Ed è qui che può indirizzarsi l’offerta di soccorso mafiosa. Dobbiamo arrivare prima noi. Dobbiamo essere più veloci. Questo significa migliorare sul fronte degli aiuti, ma anche in prospettiva, nella vera fase di rilancio degli investimenti, rifiutare la falsa alternativa tra controllo di legalità e semplificazione. Un commissariamento generalizzato, a parte il fatto che è impraticabile, non risolve il problema di un’amministrazione sempre meno capace di realizzare investimenti. Io ho proposto un percorso di semplificazione fondato su centrali di committenza unificate, standardizzazione e digitalizzazione delle procedure e dei bandi, che può metterci al riparo dalle infiltrazioni mafiose e al tempo stesso accelerare gli investimenti».