Cnr, investimenti Ricerca e Sviluppo favoriscono rientro cervelli

Studio su mobilità ricercatori europei in Scienze sociali e umane

GIU 4, 2019 -

Roma, 4 giu. (askanews) – Quali sono le principali motivazioni che facilitano oppure ostacolano la mobilità dei dottori di ricerca europei? In quanti scelgono di restare nel proprio Paese e quanti invece preferiscono trasferirsi all’estero? Cosa può spingere un ricercatore a rientrare nel proprio Paese? Sono solo alcune delle domande a cui risponde uno studio sui percorsi di carriera dei ricercatori europei nelle scienze sociali e umane condotto dall’Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ircres) e pubblicato sull’International Journal of Computational Economics and Econometrics.

Dallo studio emerge, ad esempio, che l’investimento del Paese d’origine in Ricerca e sviluppo è tra i principali fattori che spingono i ricercatori al rientro, mentre la presenza di due o più figli ostacola mobilità e carriera. Solo l’1,3% dei ricercatori stranieri analizzati sceglie l’Italia per il dottorato, a fronte di percentuali nettamente maggiori in Germania, Regno Unito e Francia, mete preferite anche dagli italiani che dopo il dottorato si trasferiscono e rimangono all’estero.

Lo studio – psiega il Cnr – è avvenuto tramite il dataset Pocarim (Mapping the population, careers, mobility and impacts of advanced degree graduates in the social science and humanities), finanziato dalla Commissione Europea all’interno del Settimo programma quadro, ed estende un lavoro precedentemente pubblicato su Higher Education, rivista internazionale sugli studi universitari.

“Attraverso l’uso di modelli probabilistici abbiamo analizzato le traiettorie di carriera dei dottori di ricerca, basandoci su questionari somministrati a quasi 3.000 soggetti in 13 Paesi europei”, spiega Antonio Zinilli del Cnr-Ircres. “Abbiamo considerato i fattori che possono influenzare la variabilità della traiettoria di carriera in termini di mobilità settoriale che geografica. Ne emerge che la mobilità internazionale durante la carriera lavorativa è particolarmente influenzata dalle scelte fatte durante l’ultima fase universitaria e nel periodo tra il conseguimento del dottorato e la prima assunzione, fattori che influenzano anche la propensione dei ricercatori a continuare a lavorare all’estero o a tornare nel paese d’origine. Nello specifico, se un dottore di ricerca ottiene il primo lavoro all’estero avrà una maggiore probabilità di rimanervi”.

Secondo i dati analizzati, solo l’1,3% dei ricercatori in Scienze sociali e umane stranieri sceglie l’Italia per il conseguimento del dottorato, a fronte di percentuali nettamente maggiori registrate in Germania (11%), Regno Unito (7,5%) e Francia (7%), Paesi che emergono come mete preferite anche dagli italiani che decidono di trasferirsi dopo il dottorato e che rimangono all’estero: il 12% resta in Inghilterra, il 10% in Germania, il 5,5% in Francia. In questi Paesi si rileva, inoltre, una maggiore stabilità contrattuale rispetto all’Italia: solo il 18% dei Ddr in queste discipline in Italia ha un contratto permanente, contro il 65% in Francia, il 63% in Gran Bretagna, il 40% in Germania.

Sono soprattutto i fattori economici a influire: “I risultati analizzati mostrano nei Paesi dell’Europa nord-occidentale una correlazione fortemente positiva fra la maggiore intensità di investimento in ricerca e sviluppo e il lavoro, la permanenza e il rientro dei ricercatori”, conclude Zinilli. “La presenza di famiglie numerose è, invece, una tra le principali barriere alla mobilità internazionale e alla carriera. Più che la presenza del partner è quella di due o più figli che incide sull’eterogeneità del percorso di carriera, facendo optare per un minore grado di mobilità”.