Blangiardo (Istat): contro denatalità alleanza tra generazioni

Presidente dell'Istituto intervistato da Comunità di connessioni

NOV 15, 2022 -

Milano, 15 nov. (askanews) – “Il quadro è che da ormai quindici anni il numero dei nati è in calo. Dal 2014 ogni anno registriamo il record più basso nella storia d’Italia, nel 2021 siamo arrivati a soli 399 mila nati e anche per la fine del 2022 ci aspettiamo un altro record negativo”. Lo ha detto il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, intervistato dalla rivista Comunità di Connessioni. “Tra le cause del perché oggi non si fanno figli – ha proseguito Blangiardo – non c’è tanto il fatto che è venuto a mancare il desiderio di genitorialità, quanto piuttosto che in generale si sono allungati i tempi delle diverse fasi della vita. Potremmo dire che c’è stata una trasformazione delle tempistiche. Si studia di più, si inizia a lavorare e ci si sposa più tardi e si tende a rischiare meno in tempi di incertezza. Quest’ultimo punto è di particolare interesse poiché suggerisce l’idea di una diversa percezione del rischio all’interno della società rispetto ai decenni precedenti. Questo ‘gioco’ fa sì che si pensi ai figli quando non si è più giovanissimi. La capacità riproduttiva è quindi ridotta e i tempi con cui si decide di fare il secondo figlio o il terzo sono più ristretti. Questo porta spesso a rinunciare, poiché ci si rende conto delle difficoltà che si incontrano nella gestione dei carichi familiari in età più avanzata. E, inoltre, i figli costano, e le donne che lavorano e legittimamente maturano aspettative di carriera non sempre riescono ad avere collaborazione da parte del partner”. “Perdiamo forza lavoro a vista d’occhio. Per semplificare – ha detto ancora il presidente dell’Istat – possiamo immaginare il mercato del lavoro come un serbatoio che è alimentato da un flusso di persone in entrata e da un flusso di altre in uscita. Se il canale di ingresso si riduce, succede che le uscite rischiano di non essere rimpiazzate. Al tempo stesso, coloro che rimangono sul mercato invecchiano generando l’aumento dell’età delle generazioni presenti sui luoghi di lavoro. Le previsioni ISTAT per i prossimi 40 anni ci dicono che la popolazione di età tra i 20 e 66 anni andrà verso un ridimensionamento di circa 11 milioni di persone. Tutto ciò provoca, e provocherà sempre più in futuro, anche cambiamenti di ordine qualitativo riguardo l’obsolescenza delle competenze e l’erosione della capacità produttiva delle persone”. “Per invertire una tendenza non facile da fermare – ha concluso Gian Carlo Blangiardo – occorre adottare diverse azioni. Dobbiamo continuare a puntare su un maggiore coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro: da questo punto di vista, la discrepanza dei tassi di attività tra donne e uomini è ancora molto elevata, anche nel confronto europeo. Inoltre, al contrario di quanto spesso si pensa, i Paesi che hanno alti livelli di lavoro femminile hanno anche livelli fecondità in genere più elevati dei nostri, dando prova del fatto che famiglia e lavoro possono conciliarsi: basta volerlo e basta creare le condizioni adeguate. Un’altra leva di intervento è quella relativa al trattenimento delle persone in età avanzata nel mercato del lavoro e al rapporto con i giovani. Bisogna pensare a un intervento concordato, libero, volontario e partecipato per consentire a coloro che vogliono rimanere nel mercato del lavoro anche dopo avere superato i confini di pensionamento di farlo, provando anche a progettare modelli di interscambio con le nuove generazioni per trasmettere loro competenze, esperienza e supportarli nelle fasi di ingresso nel mercato del lavoro. Non abbiamo altra strada che la creazione di alleanze e ponti tra generazioni”.