La Cina in crisi demografica: il sorpasso indiano è già avvenuto?

India potrebbe già essere dal 2022 il paese pià popoloso al mondo

GEN 17, 2023 -

Roma, 17 gen. (askanews) – Lo storico annuncio odierno da parte della Cina, che ha registrato il suo primo calo nella popolazione dal 1961, apre alla possibilità che, già dal 2022, il paese più popoloso al mondo sia diventato l’India. Era un sorpasso atteso, ma oggi i demografi si chiedono se in realtà non sia già avvenuto. Secondo quanto ha riferito oggi l’Ufficio nazionale di statistica di Pechino, la popolazione cinese è calata nel 2022 di 850mila unità, attestandosi su 1.411.175.000 di abitanti. Il tasso di fertilità è stato di 6,77 nascite ogni 1.000 donne, mentre nel 2019 erano 10,41 ogni mille donne. Ad accelerare il calo della popolazione potrebbero aver contribuito le misure Zero Covid. Il declino, in effetti, è cominciato lo scorso anno quando le morti hanno formalmente superato le nascite, in frenata netta. Lo scorso anno sono nati 9,56 milioni di bambini rispetto ai 10,62 milioni del 2019. E il trend è destinato ad accelerare ancor di più, se si pensa che nel 2022 il numero di donne in età fertile (15-49 anni) è crollato di 4 milioni di unità. La curva demografica cinese è particolarmente sbilanciata anche perché la dura “politica del figlio unico”, che fu imposta dal 1980 e durò fino al 2016, ha contribuito a tenere la media dei figli al di sotto di 2,1, necessari per mantenere stabile la popolazione. Nel 2016 la politica del figlio unico è stata rimpiazzata con un limite dei due figli per coppia. Ma anche questa parziale liberalizzazione non ha contribuito a far ripartire le nascite. Anzi, la popolazione sta invecchiando rapidamente e nel 2022 si è registrato un tasso di mortalità di 7,37 ogni 1.000, rispetto al 7,09 ogni mille del 2019. Al contrario, l’India è in pieno boom demografico. Una stima delle Nazioni unite relativa all’anno 2022 e prodotta a luglio collocava la Cina come paese più popoloso con 1.426.000.000 di abitanti e l’India al secondo posto con 1.422.000.000. Ma, come abbiamo visto, il dato fornito dall’ufficio statistico cinese parla di una decina di milioni di abitanti in meno e questo fa pensare ad alcuni osservatori che il sorpasso indiano, che l’Onu prevedeva per il 2023, possa essere già avvenuto nel 2022. Purtroppo non sono disponibili i dati del nuovo censimento indiano. L’ultimo è stato effettuato nel 2011 e collocavano la popolazione a 1,2 miliardi. Una nuova edizione era prevista per il 2021, ma il governo di Nuova Delhi ha deciso di rimandarlo a causa del Covid-19. Esiste una stima del 2020 dell’Ufficio statistico nazionale indiano, che vedeva la popolazione indiana a 1,388 miliardi a marzo 2023. Tuttavia pare superata dai fatti. LE CONSEGUENZE PER LA CINA Ma quali sono le conseguenze per la Cina di questa nuova situazione? “Nel lungo periodo noi vedremo una Cina che il mondo non aveva mai visto”, ha spiegato al New York Times il professor Wang Feng, un sociologo dell’University of California che è specializzato in questioni demografiche cinesi. “Non avremo più – ha proseguito – una giovane, vibrante popolazione in crescita. Cominceremo a valutare la Cina come un paese dalla popolazione vecchia e in calo”. Questo fatto avrà conseguenze per l’economia cinese: caleranno le entrate fiscali, il sistema pensionistico vivrà una pressione ancora più forte rispetto a quella che già non si trova ad affrontare. Il governo cinese dovrà investire fortemente sulla cura degli anziani, sul sistema sanitario, calerà la disponibilità di giovani cervelli orientati allo sviluppo e utilizzo di tecnologie all’avanguardia. Da un punto di vista emotivo, come in altre popolazioni in calo, sarà sempre meno sviluppata la certezza che la società evolve verso un più ampio grado di benessere e felicità. E questo potrebbe avere conseguenze politiche sul Partito comunista cinese che, proprio su questa assunzione, ha stipulato un patto sociale informale: più ricchezza individuale in cambio di una mancata messa in discussione del potere. Sul fronte economico, il rallentamento è già evidente oggi. Nel 2022 la Cina è cresciuta del 3 per cento, il livello più basso degli ultimi quattro decenni, e nell’ultimo trimestre la crescita è stata del 2,9 per cento. Sono lontani i tempi della crescita a doppia cifra. In questo ha avuto un impatto devastante la politica Zero Covid, che fino all’inizio di quest’anno ha imballato le attività economiche. LE CONSEGUENZE PER L’INDIA Anche una crescita della popolazione come quella che sta vivendo l’India non è necessariamente solo una bella notizia. Certo, esiste quello che gli economisti chiamano “dividendo demografico”: avere una giovane e sana popolazione di lavoratori garantisce punti di Pil in più. E infatti il governo di Nuova Delhi ha stimato nei giorni scorsi una crescita del 7 per cento per l’anno fiscale 2022-2023. In realtà è un dato in calo rispetto all’8,7 per cento del 2021-2022, ma comunque un ritmo di crescita considerevole. Tuttavia, quando si ha una giovane popolazione che cresce sempre più, si ha anche la responsabilità di darle qualcosa da fare. L’India ha una popolazione in età da lavoro che superava nel 2021 i 900 milioni, secondo i dati dell’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica. Entro un decennio sarà di oltre un miliardo. Il tasso di disoccupazione è stato lo scorso anno dell’8,3 per cento, il che è già preoccupante. Peggio ancora è però il tasso di partecipazione al lavoro – che è la somma tra gli occupati e coloro che cercano lavoro – pari al 46 per cento della popolazione totale, uno dei più bassi d’Asia, secondo dati della Banca mondiale diffusi nel 2021. La Cina e gli Usa hanno rispettivamente il 68 per cento e il 61 per cento. Se poi andiamo a guardare il dato dell’occupazione femminile, ci si ferma solo al 19 per cento nel 2021. E le cose stanno peggiorando: nel 2005 era di circa il 26 per cento. Parlando con la CNN, il professor Chandraskhar Sripada dell’Indian School of Business è stato netto: “L’India è seduta su una bomba a tempo. Ci sarà una rivolta sociale se non riusciremo a creare lavoro in un periodo di tempo relativamente breve”. Cioè Nuova Delhi sembra stia perdendo l’occasione di un’ampia disponibilità di forza lavoro a costi contenuti, non riuscendo a gestire il dividendo demografico. Secondo Sripada, il principale problema è la qualità dell’educazione, che non privilegia il pensiero creativo e la promozione sociale. Su questo i policy-maker indiani stanno cominciando a muoversi, ma i tempi sono limitati. Il 45 per cento della forza lavoro indiana è impegnata nel settore agricolo, ma il paese ha bisogno di almeno 90 milioni di posti di lavoro non agricoli entro il 2030 per assorbire il surplus di braccia e cervelli, a quanto ha scritto McKinsey Global Insttitute.