Cei, Zuppi e Lojudice favoriti dopo Bassetti: pedofilia primo test

Assemblea dal 23 al 27 maggio, il Papa vuole un "cambiamento"

MAG 18, 2022 -

Cei Città del Vaticano, 18 mag. (askanews) – La Conferenza episcopale italiana deciderà il proprio presidente, nel corso dell’assemblea generale in programma a Roma da lunedì a venerdì prossimi, 23-27 maggio, che succederà al cardinale Gualtiero Bassetti e dovrà affrontare, quale primo impegno, la questione di un’indagine storica sugli abusi sessuali su minori avvenuti nella Chiesa italiana. A restringere il novero dei candidati più probabili è stato papa Francesco, che in un recente colloquio con il Corriere della sera, ha affermato: ‘Adesso la prossima assemblea dovrà scegliere il nuovo presidente della Cei, io cerco di trovarne uno che voglia fare un bel cambiamento. Preferisco che sia un cardinale, che sia autorevole. E che abbia la possibilità di scegliere il segretario, che possa dire: voglio lavorare con questa persona’. Sono solo cinque, attualmente, i cardinali italiani con meno di 75 anni: l’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori (75 anni), l’arcivescovo de L’Aquila, Giuseppe Petrocchi (73 anni), il vicario per la diocesi di Roma, Angelo De Donatis (68 anni), l’arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi (66 anni), e l’arcivescovo di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino, Paolo Lojudice (57 anni). Questi ultimi due, in particolare, entrambi ex vescovi ausiliari di Roma, entrambi ‘preti di strada’, molto impegnato nella pastorale con rom e migranti Lojudice, un passato nella comunità di Sant’Egidio e una spiccata sensibilità per i temi della pace, dell’ecumenismo e della giustizia sociale Zuppi, sembrano particolarmente in sintonia con Bergoglio, oltre ad aver dato buona prova di governo nelle loro diocesi. Qualità particolarmente indicate per quel ‘rinnovamento della Chiesa italiana’ che, auspicato già da tempo da Francesco, il cardinal Bassetti, evidentemente, non ha realizzato. ‘Spesso ho trovato una mentalità preconciliare che si travestiva da conciliare’, ha detto Bergoglio sempre nell’intervista al Corriere. ‘In continenti come l’America latina e l’Africa è stato più facile. In Italia forse è più difficile. Ma ci sono bravi preti, bravi parroci, brave suore, bravi laici. Per esempio una delle cose che tento di fare per rinnovare la Chiesa italiana è non cambiare troppo i vescovi. Il cardinale Gantin diceva che il vescovo è lo sposo della Chiesa, ogni vescovo è lo sposo della Chiesa per tutta la vita. Quando c’è l’abitudine, è bene. Per questo cerco di nominare i preti, come è accaduto a Genova, a Torino, in Calabria. Credo che questo sia il rinnovamento della Chiesa italiana’. L’indicazione del papa, peraltro, corregge, almeno parzialmente, la dinamica, avviata dallo stesso Bergoglio, di responsabilizzare i vescovi italiani. Tradizionalmente, infatti, quella italiana era l’unica conferenza episcopale nazionale che non eleggeva il proprio presidente, come avviene in tutti gli altri paesi, perché era il papa, che è anche primate d’Italia, che lo sceglieva. Anni fa Jorge Mario Bergoglio ha chiesto all’episcopato italiano di eleggersi il presidente, ma i vescovi hanno fatto resistenza, e alla fine è stato sancito un compromesso: l’assemblea dei vescovi elegge una terna – ciò che dovrebbe avvenire all’inizio della prossima settimana – e tra i tre nomi prescelti il papa sceglie, liberamente, il presidente. Così è avvenuta, cinque anni fa, l’elezione del cardinale Gualtiero Bassetti, verso il quale già nel febbraio 2014 Francesco aveva mostrato una predilizione elevandolo, lui pastore di diocesi secondaria, a dignità cardinalizia: eletto dall’assemblea dei vescovi in una terna, assieme a Franco Giulio Brambilla e al cardinale Francesco Montenegro, fu nominato dal pontefice presidente della Cei il 24 maggio 2017. Scelta che rispecchiava un iniziale sintonia tra il vescovo di Roma e l’arcivescovo di Perugia e Città della Pieve. L’elezione dell’arcivescovo di Buenos Aires al Conclave del 2013, di certo, fu percepito da molti vescovi italiani come unadoccia fredda. Per errore, subito corretto, la Cei, peraltro, aveva diramato, pochi minuti dopo la fumata bianca, un messaggio di congratulazioni per l’elezione al soglio pontificio di… Angelo Scola, allora arcivescovo di Milano, un radicato passato in Comunione e liberazione, e candidato ideale di diversi porporati conservatori. L’incontro decennale dei vescovi a Firenze, nel 2015, quando presidente della Cei era ancora il cardinale arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, ufficializzò una notevole distonia tra il pontefice argentino e l’episcopato italiano: ‘Che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro’, tuonò a Firenze Bergoglio. Su quello sfondo, l’arrivo di Bassetti alla guida della Cei, due anni dopo, si immaginava segnasse una correzione di rotta verso una maggiore sintonia col papa. Cosa effettivamente avvenuta – se si pensa, in particolare, alla distanza dai toni battaglieri dell’era del cardinale Camillo Ruini sui cosiddetti ‘valori non negoziabili’ – ma solo parzialmente. Nel corso degli anni, infatti, il rapporto tra Bergoglio e Bassetti si è raffreddato, e non per motivi personali. Più volte, proprio facendo riferimento all’incontro di Firenze, il papa ha lamentato la mancanza di reazioni dell’episcopato italiano alle proprie indicazioni, in particolare a quelle esposte nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Il pontefice ha dovuto insistere ripetutamente, privatamente e pubblicamente, perché finalmente la Cei decidesse, come le Chiese di altri paesi, di lanciare un percorso sinodale nazionale. Quando è arrivata la pandemia, poi, i toni aspri adottati dalla Conferenza episcopale italiana nei confronti del governo Conte in merito alle restrizioni sanitarie sono state pubblicamente sconfessate dal papa, preoccupato sì di tenere le chiese aprte, ma d’accordo a limitare la partecipazione alle funzioni religiose, e soprattutto attento a non guastare la collaborazione tra Chiesa e Stato. L’ultimo incidente è avvenuto nuovamente a Firenze: lungamente preparato, lo scorso febbraio la Cei ha organizzato, insieme al comune di Firenze, un incontro sul Mediterraneo nel nome di Giorgio La Pira. Il papa avrebbe dovuto partecipare, ma ha annullato pochi giorni prima: un male al ginocchio, ha spiegato la sala stampa vaticana. Ma, a quanto si è appreso, c’era anche dell’altro. In particolare, la presenza di Marco Minniti, ex ministro dell’Interno all’epoca degli accordi con la Libia, criticata anche all’interno della stessa curia fiorentina, avrebbe indotto il pontefice non solo a dare forfait ma a non citare neppure, durante i saluti all’Angelus di quella domenica, il convengo di Firenze. Un’assenza vissuta in Cei come uno schiaffo in faccia. Ora il prossimo presidente della Cei dovrà ‘fare un bel cambiamento’, nelle parole di papa Francesco. A partire dalla questione degli abusi sui minori. I vescovi ‘intendono promuovere una migliore conoscenza del fenomeno per valutare e rendere più efficaci le misure di protezione e prevenzione’, recitava il comunicato dell’ultimo consiglio permanente, a marzo, nel quale, peraltro, la Cei rivendicava i servizi diocesani per la tutela dei minori e i 140 centri d’ascolto già costituiti. Negli anni passati gli episcopati di diversi paesi (Stati Uniti, Germania, Francia, da ultimo Portogallo, Svizzera e Spagna) hanno commssionato inchieste indipendenti, altrattanto hanno fatto singole diocesi, come Monaco di Baviera, e in altri paesi sono stati i governi (Irlanda, Australia) a svolgerne, per indagare sugli abusi sessuali su minori avvenuti negli ultimi decenni nella Chiesa. Ipotesi che, però, all’interno della Conferenza episcopale italiana trova alcuni a favore, altri contrari. ‘La giustizia non è giustizialismo’, ha avuto a dire il cardinale Bassetti, ‘e non si renderebbe un buon servizio né alla comunità ferita né alla Chiesa se si operasse in maniera sbrigativa, tanto per dare dei numeri’. Ma ‘la gente, come abbiamo visto in tante parti del mondo, non si fida più della giustizia all’interno della Chiesa, non accetta più numeri che sono stati rivisti e ricavati da processi o persone controllate dalla Chiesa perché vogliono sapere da fonti indipendenti e ogettive quello che viene fuori e quindi in questo senso prima o poi questa esigenza arriverà’, ha detto da parte sua padre Hans Zollner, gesuita e psicologo, grande esperto vaticano della materia: ‘O la Chiesa decide di farlo per conto suo e ordinare a persone indipendenti come successo in Germania, in Francia, come adesso anche la Conferenza episcopale portoghese sta facendo oppure a un certo punto sarà costretta perchè lo Stato, o chi per lo Stato, adirà a sè questo tipo di processi’. Il nodo sarà capire se un’indagine verrà avviata o meno, chi sarà a svolgerla (se un’istanza terza e indipendente o la stessa Conferenza episcopale) e quale sarà l’oggetto di studio (se i soli abusi avvenuti nell’ambito della Chiesa o la pedofilia nella società più ampia). L’ormai ex segretario della Cei, mons. Stefano Russo, da poco nominato dal papa vescovo di Civitavecchia, ha partecipato all’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pedopornografia minorile che si è svolto a inizio maggio alla presenza della ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti. Negli ultimi mesi, intanto, è nato un Coordinamento italiano contro gli abusi nella chiesa cattolica, con hastag #ItalyChurchToo, che sta monitorando, in accordo con l’associazione Rete l’abuso, i casi noti in Italia, e fa pressione sulla Cei in vista dell’assemblea della prossima settimana. L’associazione chiederà, in una lettera ai vescovi pubblicata lunedì prossimo, ‘precise misure necessarie e improrogabili nell’ambito della lotta agli abusi nella Chiesa cattolica, che allineino l’operato della Chiesa italiana a quello di altre Conferenze episcopali e dissolvano i dubbi relativi alle reticenze e alle resistenze dell’episcopato italiano riguardo all’emersione della reale portata del fenomeno in Italia’. Per il prossimo presidente, chinunque egli sarà, sarà il primo banco di prova.