Il Papa e la “messa in latino”, battaglia di oltre mezzo secolo

Con un motu proprio Francesco difende il Concilio dai suoi nemici

LUG 16, 2021 -

Papa Città del Vaticano, 16 lug. (askanews) – La ‘messa in latino’, liberalizzata da Benedetto XVI nel 2007, oggi tornata rigorosamente eccezionale per volontà di Francesco, è un tema, apparentemente tecnico, che affonda le radici nel Concilio vaticano II e, a distanza di oltre mezzo secolo, surriscalda gli animi nella Chiesa più di una finale degli europei. La grande assise di vescovi di tutto il mondo (1962-1965) aggiornò il cattolicesimo in tanti ambiti, e tra di essi propose una riforma che rendesse la liturgia più accessibile al ‘popolo di Dio’, traducendo tra l’altro il messale nelle lingue moderne. Dopo il Concilio Paolo VI pubblicò, nel 1969, un messale romano riformato con la costituzione apostolica Missale Romanum. ‘L’adozione del nuovo ‘Ordo Missae non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli’, spiegò successivamente papa Montini, e la relativa istruzione ‘ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’Ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino. La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno’. Dalle parole del pontefice bresciano traspariva già allora una opposizione alla riforma voluta dal Concilio’. Sulla liturgia si combattè infatti un’aspra battaglia in quegli anni, tra innovazioni liturgiche disinibite e reazioni tradizionaliste. Nel campo reazionario, in particolare, il gruppo legato all’arcivescovo Marcel Lefebvre, in polemica con la maggioranza conciliare su tante aperture, dalla libertà di coscienza all’ecumenismo al dialogo interreligioso, continuò a celebrare messa in latino e giunse negli anni ottanta a dividersi dalla Chiesa cattolica, con uno scisma tuttora in corso. Scisma avvenuto sotto Giovanni Paolo II (nacque allora, con un motu proprio del 1988, la Pontificia commissione Ecclesia Dei incaricata di negoziare, senza successo, con le diverse isole dell’arcipelago tradizionalista, e, di fatto, dissolta oggi dalla decisione di Francesco) e che il suo successore, Benedetto XVI, tentò di suturare. Joseph Ratzinger, da giovane perito preogressista del Concilio vaticano II, maturò col passare degli anni una crescente delusione nei confronti delle conseguenze che quel grande sinodo produsse. E nel reintegro dei lefebvriani intravide la possibilità di rileggere il Concilio. Nel corso del suo pontificato si dedicò con grande energia a questa impresa, non senza plateali incidenti, come quando, tolta la scomunica in cui erano incorsi i lefebvriani, emerse che uno di essi, il britannico Richard Williamson, era un vocale negazionista della Shoah, convinto che le camere a gas dei lager nazisti fossero una leggenda. Benedetto XVI avviò con la fraternità sacerdotale San Pio X (questo il nome ufficiale) negoziati dottrinali e, nel 2007, liberalizzò il loro amato messale pre-conciliare con un motu proprio intitolato Summorum Pontificum. La mossa non riguardava solo i lefebvriani – non sono l’unico gruppo che celebra in latino – ma essi sono esplicitamente citati più volte nella lettera che Ratzinger spedì ai vescovi di tutto il mondo per spiegare la sua decisione. ‘Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso’, scriveva Benedetto XVI, ‘ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia. Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni’. L’arcipelago tradizionalista festeggiò, i progressisti si preoccuparono, ma Benedetto XVI, ad ogni modo, non riuscì a risolvere lo scisma lefebvriano. Nel frattempo da più parti dell’orbe cattolico sono emersi problemi di applicazione del motu proprio Summorum Pontificum. Tanto che, come ha riferito di recente il cardinale Gualtiero Bassetit, presidente della Cei, ‘come vescovi diocesani siamo stati tutti interpellati sugli esiti della Summorum Pontificum, come si era svolta l’applicazione nelle diocesi, quanti fedeli partecipavano: è stata fatta una ricogninzione a livello mondiale, e gli esiti sono in mano al Papa’. Ma il vero segnale, già nei giorni scorsi, che stava arrivando una svolta del Papa, erano le apprensioni sempre più allarmate non solo di blog e gruppuscoli tradizionalisti, ma anche dei big dell’opposizione a Bergoglio. In difesa del messale tridentino sono scesi in campo nelle ultime settimane il cardinale Zen Ze-kiun, vocale critico di papa Francesco per l’accordo con la Cina; l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, un ex nunzio negli Stati Uniti che a partire da una vicenda di pedofilia, in realtà sanzionata dal pontefice, ne ha ha però chiesto le dimissioni; e da ultimo il cardinale Robert Sarah, colui che è stato per anni alla testa del dicastero vaticano responsabile della liturgia. Il porporato, in una serie di tweet, ha esposto quali erano gli auspici e i timori del mondo ultraconservatore: ‘Nella storia si ricorderà Benedetto XVI non solo come un grande teologo, ma anche come il Papa del Summorum Pontificum, il Papa della pace liturgica, colui che ha costruito un ponte ecumenico con l’Oriente cristiano attraverso la liturgia latino-gregoriana. Rimarrà come il Papa che ha a cuore la volontà di riconquistare le radici cristiane e l’unità dell’Europa e si sarà opposto al laicismo senza senso e alla destrutturazione della cultura europea. Dal Motu Proprio Summorum Pontificum, nonostante le difficoltà e le resistenze, la Chiesa ha intrapreso un cammino di riforma liturgica e spirituale che, seppur lento, è irreversibile. Nonostante gli intransigenti atteggiamenti clericali di opposizione alla venerabile liturgia latino-gregoriana, atteggiamenti tipici di questo clericalismo che papa Francesco più volte ha denunciato, nel cuore della Chiesa è emersa una nuova generazione di giovani. Questa generazione è quella delle giovani famiglie, che dimostrano che questa liturgia ha un futuro perché ha un passato, una storia di santità e di bellezza che non può essere cancellata o abolita da un giorno all’altro. La Chiesa – ha scritto Sarah – non è un campo di battaglia dove si gioca per vincere cercando di nuocere agli altri e alla sensibilità spirituale dei propri fratelli e sorelle nella fede. Come ha detto Benedetto XVI ai vescovi francesi: ‘Nella Chiesa c’è posto per tutti, perché sappiamo trattarci con rispetto e vivere insieme lodando il Signore nella sua Chiesa e rimanendo in essa: ‘unica vera fede’. La crisi liturgica ha portato alla crisi della fede. Allo stesso modo, il rispetto delle forme ordinarie e straordinarie della liturgia latina ci condurrà a uno slancio missionario di evangelizzazione e potremo – secondo il cardinale ultraconservatore – finalmente uscire dal tunnel della crisi’. Appello che decisamente non ha trovato la disponibilità di papa Francesco, che, peraltro, in un passaggio-chiave della lettera che ha inviato ai vescovi di tutto il mondo, contesta apertamente chi lo vuole contrapporre a Benedetto XVI: ‘E’ per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori. L’uso distorto che ne è stato fatto è contrario ai motivi che li hanno indotti a concedere la libertà di celebrare la Messa con il Missale Romanum del 1962′. La critica è senza esitazioni: ‘Mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa”.