Etiopia, Msf: servono più aiuti nel Tigray, accesso ancora limitato

Operatori appena rientrati dalla regione: punto più critico è il cibo

GIU 8, 2021 -

Etiopia Roma, 8 giu. (askanews) – “Nessun miglioramento” è stato registrato da Medici senza frontiere (Msf) “nell’accesso agli aiuti umanitari” nel Tigray, nel Nord dell’Etiopia, teatro dallo scorso novembre di una “guerra che ancora infiamma la regione”, che ha causato “oltre un milione di sfollati” e dove mancano i servizi essenziali per la popolazione, ma soprattutto “il cibo”, perchè il conflitto è “scoppiato nel pieno del periodo di raccolta e oggi la popolazione non può coltivare la terra”. Questo il quadro “cupo” illustrato oggi alla stampa da due operatori umanitari di Msf rientrati da poco dal Tigray: Tommaso Santo, responsabile dell’intervento di emergenza nella regione, e Marco Sandrone, coordinatore dei progetti ad Axum e Adwa. A fronte dei ripetuti appelli della comunità internazionale a garantire un accesso senza ostacoli a ong e aiuti umanitari, i due operatori hanno sottolineato che questo “è ancora fortemente e volutamente limitato dagli attori armati”, ossia le truppe del governo etiope da una parte e i combattenti del Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf) dall’altra. E si tratta di “una strategia volta a isolare aree, sacche di popolazione, tagliandole così fuori dall’assistenza”, che si spiega tenendo presente che dopo le prime settimane di conflitto, lo scorso novembre, il governo di Addis Abeba ha preso il controllo delle grandi città e delle vie di comunicazione, mentre il Tplf controlla solo zone rurali. “L’esercito etiope, coordinato con quello eritreo e con le forze Amhara, cerca di neutralizzare il Tplf isolando le zone che controlla”, ha spiegato Tommaso Santo. E poi ci sono “tantissimi posti di blocco, di entrambe le forze armate, ogni 30-50 km che, insieme al conflitto, limitano i movimenti” e dove “si passa il tempo a negoziare per avere l’accesso nelle zone”. Perchè, hanno spiegato i due operatori, Msf è una delle poche organizzazioni che si spinge nelle zone rurali, per garantire, con cliniche mobili, l’assistenza sanitaria alla popolazione. Santo ha ricordato che Msf è arrivata nel Tigray fin dall’inizio del conflitto, a novembre, trovando “una situazione abbastanza disperata”. A fine dicembre è poi iniziato l’intervento ad Axum e Adua, dove gli ospedali erano stati saccheggiati e parzialmente distrutti, così come i centri di salute che garantivano un’assistenza medica capillare e di alto livello. Msf si è quindi adoperata per “ristabilire un minimo di funzionalità negli ospedali” e sopperire alla distruzione dei centri di salute con “cliniche mobili per raggiungere la popolazione”. Allo stesso tempo, l’organizzazione ha risposto all’emergenza degli sfollati, perchè se oltre un milione di persone “ha lasciato la parte occidentale della regione per cercare rifugio nelle aree centrali e orientali, solo ad Axum e ad Adua sono arrivate 250.000 persone, ospitate in 13 scuole ad Axum e in una decina ad Adua”, ha precisato Marco Sandrone. Sfollati senza accesso ai servizi di base, in una situazione in cui la stessa comunità locali non ha le capacità per aiutarli. A preoccupare è soprattutto il “deteriomento della malnutrizione” registrato nel corso dell’intervento, anche perchè, già prima del conflitto oltre un milione dei circa sei milioni di abitanti della regione beneficiavano dell’assistenza alimentare. “La malnutrizione è sempre stato un problema in Etiopia e oggi si è acuito – ha ricordato Santo – perchè l’Etiopia è particolarmente vulnerabile al cambiamento climatico, con invasione di locuste, inondazioni, siccità che hanno un impatto diretto sulla salute delle persone”. Ma la situazione si è aggravata perchè “tra marzo e maggio la popolazione doveva fare la semina” che invece non è stata fatta, e “le persone sono ora estremamente vulnerabili”. “Se si chiede a qualsiasi sfollato o abitante del Tigray di che cosa hanno più bisogno, sicurezza e cibo sono le prime risposte che riceviamo”, ha raccontato Sandrone. Una popolazione che ancora “non si capacita di essere sprofondata in una guerra vera e propria, senza sapere quando finirà” e che “è ancora vittima del conflitto”. Per questo, ha concluso Santo, Msf auspica la fine delle ostilità, ma “osservando la situazione sul terreno, credo che Msf resterà per mesi nel Tigray, perchè la situazione è molto critica”. Servizio di Simona Salvi