Airl: bene Draghi ma non dimentichi italiani di Libia

Intervista a Francesca Prina Ricotti

APR 6, 2021 -

Roma, 6 apr. (askanews) – “Rivendichiamo il nostro ruolo nei rapporti bilaterali, in virtù del rapporto privilegiato che possiamo vantare col popolo libico”. Francesca Prina Ricotti, neo presidente dell’associazione degli Italiani di Libia, chiarisce il pensiero delle migliaia di italo-libici, a margine della visita del premier Draghi in Libia.

Come vedono gli italiani di Libia l’attivismo del governo italiano verso il Paese, con la visita di Draghi e la recente doppia visita di Di Maio? Non possiamo che essere soddisfatti dei tentativi del governo italiano di riacquistare la centralità politica in Libia, una centralità che, come ha dichiarato il premier, è frutta di un’antica amicizia. Noi italiani di Libia abbiamo sempre mantenuto solidi rapporti con la popolazione libica e una vicinanza emotiva alle travagliate vicende di quel Paese. Ora è venuto il momento di fare la nostra parte e di partecipare a questo “momento unico” di ricostruzione. Ringraziamo la presenza costante dell’Ambasciatore Buccino in ogni aspetto di questo processo, un lavoro certosino di trait d’union che coinvolge tutti, anche noi italiani di Libia. Perché proprio gli italiani di Libia? Siamo un asset fondamentale dell’Italia per lo sviluppo della relazione in Libia. Perché gli italiani di Libia erano e sono cittadini e imprenditori che hanno vissuto in Libia e che in tutti questi anni non hanno fatto che accrescere la loro capacità imprenditoriale e hanno monitorato giorno per giorno quello che succedeva in Libia. Potete vantare anche dei contatti nel Paese? Noi conosciamo molte personalità istituzionali e della cultura libici oltre che leader politici libici. E tutto questo lo mettiamo a disposizione del presidente Draghi. L’associazione degli italiani di Libia perciò è un soggetto eccellente per lo sviluppo della relazione bilaterale economica tra i due paesi. Si tratta di persone e personale che conosce perfettamente i due contesti culturali, è bilingue, conosce come sviluppare il business da ambedue le sponde del Mediterraneo. Cosa può fare l’Associazione degli italiani di Libia oggi? Molte cose. Siamo pronti con dei progetti nei campi della cultura, della formazione e della piccola imprenditoria, nel caso in cui il governo italiano – come ritengo sia naturale, dato il legame unico che ci unisce alla Libia – voglia considerarci un interlocutore nel quadro dei rapporti bilaterali. In particolare? Possiamo essere protagonisti in progetti di insegnamento della lingua italiana, nel coadiuvare gli istituti di formazione libici nei campi della cultura e della storia, nell’importanza del contributo italiano allo sviluppo del Paese, ma anche nella formazione di giovani libici in Italia, nei servizi assistenziali alla persona in ambito sanitario, nel creare una rete imprenditoriale che supporti le grandi aziende nella ricostruzione della Libia e nel fare matching tra le imprese. È un valore aggiunto essere nati in Libia? Assolutamente. Non va sottovalutata la giusta diffidenza dei libici nei confronti degli stranieri, dopo 40 anni di dittatura e 10 di guerra civile. Credo di non sbagliarmi dicendo che ci può essere una maggiore apertura e una più ricca interlocuzione nei confronti di persone che sono nate e vissute in Libia come loro. Il trattato italo libico del 2008 che si pensa di riattivare può essere un buon punto di partenza secondo voi? Certamente. Il Trattato di Bengasi dell’agosto 2008 provava a superare definitivamente le incomprensioni storiche tra i due Paesi e qualche capriccio di troppo di Gheddafi. Inoltre vi era riconosciuta l’importanza della vicenda storica degli italiani di Libia, attraverso la concessione del visto turistico a tutti gli italiani nati nel Paese (finora negato della Jamahirya) e, soprattutto, l’inserimento di uno specifico articolo nella legge di ratifica sui beni confiscati dal Colonnello. A proposito dei crediti, a che punto siamo? Nel trattato veniva riconosciuto il lascito degli italiani in Libia, attraverso un parziale indennizzo. Oggi chiediamo decisamente di essere parte attiva nei lavori delle commissioni istituzionali che riguardano i nostri crediti storici verso la Libia. Non bisogna parlare solo dei crediti delle imprese italiane per le commesse non onorate negli anni 80. Noi partiamo da questi crediti storici che derivano da un preciso diritto violato e li possiamo investire nella relazione con la Libia, come nessun altro può fare al posto nostro. Mi auguro che questo sia ben chiaro ai nostri governanti.