Guerra dei media tra Pechino e Gb dopo lo stop alla BBC in Cina

Una settimana fa Londra aveva bloccato la tv di stato cinese

FEB 12, 2021 -

Roma, 12 feb. (askanews) – Oggi il Global Times, la voce più nazionalista tra i media del Partito comunista cinese, pubblica un’infografica: mostra il volto di un occidentale con in mano un microfono della BBC e il naso sproporzionatamente lungo – il naso di Pinocchio – che divide a metà una scheda. A sinistra si elenca una lista delle “fake news” (e la parola “fake” è disegnata come il logo della rete pubblica britannica) e a destra un elenco delle “verità”. E’ un’efficace schematizzazione delle accuse ufficiali che hanno portato le autorità cinesi a vietare la trasmissione nel territorio della Repubblica popolare e a Hong Kong.

Nella lista ci sono sei “fake news” che la Cina attribuisce alla BBC World News: i “sistematici stupri” nei confronti delle donne uiguro-musulmane, il lavoro forzato nei campi di cotone per gli uiguri e altre minoranze, la stretta su Hong Kong, le violenze poliziesche sempre nell’ex colonia britannica, le restrizioni troppo violente delle autorità cinesi nel controllo della pandemia Covid-19 e il disappunto della cittadinanza per lo sforzo anti-pandemia del governo. Tutto falso, secondo Pechino.

“La Cina ha inviato al mondo esterno un chiaro segnale che avrà tolleranza zero nei confronti delle fake news”, ha scritto il GT. “Da un po’ di tempo – ha continuato – la BBC non è più un’organizzazione media che si attiene a un’informazione obiettiva, ma si è degradata in un mulino di maldicenze senza fine”.

Tuttavia, dietro la decisione comunicata ieri dall’Amministrazione nazionale per la radio e la televisione (NRTA) della Cina di imporre un divieto di trasmissione per BBC World News (che nella Cina continentale è di fatto visibile solo negli hotel internazionali) c’è una vera e propria battaglia mediatica.

La scorsa settimana l’autorità dei media britannica Ofcom aveva infatti ritirato la licenza di trasmissione alla CGTN, la televisione pubblica cinese, nel territorio del Regno unito.

La spiegazione data dall’autorità britannica coinvolge il rapporto editoriale tra la CGTN e la compagnia che formalmente deteneva la licenza per la trasmissione, la Star China Media Limited, che – secondo Ofcom – “non ha la responsabilità editoriale” del canale satellitare all news che diffondeva i prodotti della CGTN. “La SCML non rispetta l’obbligo legale di avere il controllo sul servizio in licenza e pertanto è al di fuori della legalità”. La linea editoriale, quindi, è della televisione di stato cinese, controllata dal Partito comunista.

E’ passata una sola settimana e Pechino ha reagito con quest’azione simbolica, che ha provocato parecchie reazioni ufficiali contrarie. Innanzitutto la BBC, che ha dichiarato: “Proviamo disappunto per il fatto che le autorità cinesi abbiano deciso questa azione. La BBC è l’emittente internazionale di notizie più credibile e dà informazione su storie in tutto il mondo in maniera giusta, imparziale e senza paure o favori”.

Immediata è stata anche la reazione di Londra. Il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab, dal canto suo, ha definito “inaccettabile” la decisione di vietare la trasmissione alla BBC, definendola una “limitazione della libertà dei media” e sostenendo che questo atteggiamento “semplicemente danneggerà la reputazione della Cina agli occhi del mondo”.

Anche gli Stati uniti hanno espresso la propria condanna. “Condanniamo – ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price – la decisione della Repubblica Popolare Cinese di bloccare BBC World News. Pechino mantiene uno degli spazi informativi più controllati, oppressivi e meno liberidel mondo. È preoccupante che la Repubblica popolare cineselimiti alle piattaforme di operare liberamente in Cina: i leaderdi Pechino utilizzano ambienti mediatici liberi e aperti all’estero per promuovere la disinformazione”.

L’Ambasciata cinese a Londra, invece, in un comunicato ha definito “legittima e ragionevole” la decisione della NRTA e ha chiesto alla BBC di “smetterla di inventare e diffondere disinformazione; di cessare di informare in maniera ingiusta e pregiudiziale contro il Partito comunista della Cina e contro il governo cinese e di adottare misure per mitigare l’impatto negativo di tali notizie”.