Nagorno Karabakh, il “piano Lavrov”: mai esistito, ora entra in vigore

L'accordo per cessate-il-fuoco riprende punti di anni di negoziato segreto

NOV 14, 2020 -

Roma, 14 nov. (askanews) – Ufficialmente non è mai esisto, ma il “piano Lavrov” per il Nagorno Karabakh diventa realtà con l’accordo che nella notte del 9 novembre ha posto fine a un mese e mezzo di cruenti combattimenti tra Armenia e Azerbaigian.

Il piano mai ufficializzato (tanto da essere definito “mitico” anche nei circoli diplomatici) che porta il nome del ministro degli Esteri russo prevedeva un ritiro graduale dell’Armenia dai territori occupati intorno al Nagorno Karabakh e l’invio di peacekeepers russi per garantire la sicurezza degli armeni della regione secessionista. Quello che in sostanza è messo nero su bianco ora nei nove punti sottoscritti dal premier armeno Nikol Pashinyan, dal presidente azerbaigiano Ilham Aliev e dal presidente russo Vladimir Putin. Un netto successo diplomatico per il Cremlino, per quanto tutto da verificare in termini di concreta applicazione.

Secondo Stefan Safarjan, direttore dell’Istituto armeno per le questioni internazionali e di sicurezza, nel 2016 Pashinyan rifiutò una proposta russa di normalizzazione per il Karabakh e proprio da lì cominciò il raffreddamento tra il premier armeno e Mosca, ancora più che dalle sue posizioni filo-occidentali. La proposta russa consisteva, secondo i media regionali, in un piano di restituzione a Baku di alcuni territori attorno alla regione contesa, senza una decisione definitiva sullo status del Nagorno Karabakh. Il governo armeno avrebbe insistito per un “pacchetto” che comprendesse anche una definizione giuridica della regione: da qui l’opposizione al progetto mai scritto, che tuttavia porta significativamente il nome del ministro degli Esteri russo. L’anno scorso Lavrov ha rivelato alcuni dettagli di colloqui a porte chiuse con Erevan sul conflitto all’epoca ancora ‘congelato’, mettendo in difficoltà Pashinyan in patria.

I principali punti dell’accordo raggiunto ora tra Armenia e Azerbaigian sotto il patrocinio russo, in sostanza, ripercorrono quel piano negato per anni. Ma con condizioni più favorevoli a Baku, dato il vantaggio militare azerbaigiano quando è stata raggiunta l’intesa.

Le parti concordano infatti il mantenimento delle posizioni al momento del cessate-il-fuoco, il che significa per l’Azerbaigian la ripresa del controllo su ampie porzioni di territorio prima in mano agli armeni, compresa la città di Susha.

Si stabilisce l’invio di 1.960 soldati russi con funzioni di mantenimento della pace (per cinque anni, automaticamente rinnovabili) sulla linea di contatto e lungo il corridoio di Lachin, unico collegamento tra il Nagorno Karabakh e il territorio armeno, che non passerà più attraverso Susha. Erevan si impegna anche a garantire il collegamento tra l’Azerbaigian e il Nakhchivan, la sua exclave ai confini con la Turchia: un punto molto importante anche per Ankara, che otterrebbe un passaggio diretto verso il resto dell’Azerbaigian e il Mar Caspio. L’Armenia si impegna a restituire i territori attorno al Karabakh che de jure sono azerbaigiani, ma controllati militarmente dall’Armenia dalla fine della precedente guerra, nel 1994. Il distretto di Aghdam deve essere liberato entro il 20 novembre, quello di Kalbajar entro il 15 e il distretto di Lachin va restituito per il primo dicembre. I profughi e gli sfollati potranno tornare nella regione e nei territori circostanti che passano all’Azerbaigian.

Infine, proprio come nel ‘Piano Lavrov’, l’accordo non ipotizza uno status definitivo per il Nagorno Karabakh, lasciando aperta la più spinosa delle questioni, una vera spada di Damocle sulla tenuta stessa dell’intesa che ha fatto tacere le armi nel Caucaso meridionale. Ultimo, ma non trascurabile dettaglio: non viene menzionato un eventuale formato negoziale. Da chiedersi che ne sarà del Gruppo di Minsk, la struttura negoziale creata nel 1992 e co-presieduta da Francia, Russia e Stati Uniti d’America (ne fa parte anche l’Italia).

Il piano Lavrov, secondo diversi esperti, non è mai piaciuto a Francia e Usa e soprattutto per questo sarebbe rimasto dietro le quinte della diplomazia informale.