Coronavirus in Cina: per l’ambiente scenari preoccupanti

Dopo il calo di emissioni si prevede "inquinamento rappresaglia"

FEB 27, 2020 -

Milano, 27 feb. (askanews) – Se in Lombardia il miglioramento certificato oggi della qualità dell’aria non è collegato al rallentamento delle attività causato dall’emergenza Coronavirus, per quanto riguarda la Cina, invece, i macro numeri parlano di un calo delle emissioni di monossido di carbonio del 25% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, in base alle stime del Center for Research on Energy and Clean Air, proprio in seguito all’emergenza sanitaria scaturita dalla provincia di Wuhan. Come scrive il New York Times nella speciale newsletter dedicata alla crisi climatica, questo calo corrisponde in termini assoluti alle intere emissioni annue dello Stato di New York, circa 150 milioni di tonnellate. Verrebbe da pensare che, esclusivamente in ottica ambientale, questa possa essere una buona notizia, ma in realtà questo tipo di eventi, legati a crisi economiche su vasta scala, sono spesso accompagnate da alti costi umani e raramente reppresentano un passo avanti nella lotta al cambiamento climatico, anzi, notano sul quotidiano americano, in diversi casi la rendono ancora più difficile.

In pratica, e l’analisi viene da Greenpeace Asia, è molto probabile che con l’allentarsi della crisi le emissioni cinesi riprenderanno a crescere molto velocemente: in passato a fronte di cali di produzione le fabbriche del Paese hanno risposto aumentando vertiginosamente l’attività e, di conseguenza, le emissioni di anidride carbonica. Un fenomeno che, inquietante già nel nome, l’associazione ambientalista chiama “Inquinamento rappresaglia”.

In secondo luogo c’è il timore che questa situazione legata al Coronavirus possa ostacolare in modo significativo i tentativi cinesi di rendere più green la propria economia e di combattere la battaglia per una maggiore sostenibilità climatica. Del resto gli obiettivi economici della Cina per quest’anno erano ambiziosi e, pur con l’ammissione del presidente Xi Jinping che difficilmente si potranno raggiungere in pieno, resta la certezza tra gli analisti che si farà di tutto per recuperare il tempo perduto. Il che, secondo Greenpeace, potrebbe significare via libera a politiche per stimolare industrie inquinanti, come quella dell’acciaio o del cemento, così come meno pressione per abbandonare il carbone. In uno scenario che genera da sé le proprie priorità se queste sono legate alla crescita è fisiologico che a Pechino l’agenda ambientale venga messa in secondo piano.