Giappone, l’uomo che ha accoltellato bambini un recluso sociale

Ritratto di Ryuichi Iwasaki, chiuso in camera dagli anni '80

MAG 30, 2019 -

Roma, 30 mag. (askanews) – Uscire di casa con quattro coltelli, andare fino alla fermata dello scuolabus e cominciare ad accoltellare bambini. Cosa può aver spinto un uomo di 51 anni a commettere un crimine del genere? Il Giappone si interroga da tre giorni, in seguito a quanto accaduto a Kawasaki dove una bimba di 11 anni e un genitore sono rimasti uccisi per la furia assassina di Ryuichi Iwasaki, che si è poi suicidato.

I funzionari della città – secondo quanto riportano oggi i media nipponici – hanno potuto ricostruire qualcosa della storia di questo uomo, che in un primo momento era stato descritto alla NHK come violento da chi l’aveva conosciuto. E ne è emerso un quadro vicino a quello dello “hikikomori”, un recluso sociale, se non fosse che solitamente gli hikikomori non programmano e mettono in atto stragi.

“Non lavorava da molto tempo ed era diventato solitario”, hanno spiegato ai media i funzionari dei servizi d’igiene mentale di Kawasaki. Una richiesta d’intervento era stata fatta dagli zii dell’uomo, con i quali Iwasaki risiedeva. Ma poi, per non sovreccitarlo, un intervento non era stato messo in programma.

Come nella sintomatologia di questa patologia mentale ormai riconosciuta dal manuale di psichiatria DSM, Iwasaki non usciva praticamente mai dalla sua stanza e dagli anni ’80 non parlava con gli stessi zii, se non il minimo necessario. Questi quali gli preparavano i pasti e glieli lasciavano in frigorifero. Lui li consumava in solitudine.

Gli anziani parenti – a cui Iwasaki era stato affidato da quando era bambino dopo il divorzio dei genitori – avevano anche rinunciato a ricevere cure domiciliari per evitare di irritare il nipote, che sarebbe stato turbato dalla presenza di estranei in casa.

“Io mi prendo cura di me stesso. Mi preparo il cibo, mi lavo, quindi come vi permettere di dire che sono un recluso sociale?” si era lamentato con gli zii, che poi avevano comunicato questo sfogo con gli assistenti sociali, quando gli si era prospettata l’ipotesi di una cura.

Iwasaki non possedeva un computer personale, non aveva un telefono cellulare. Viveva, sostanzialmente in un’altra epoca. Nella perquisizione effettuata nella sua casa non è stato trovato alcun messaggio o nulla che accennasse alle sue motivazioni.

Eppure l’attacco era stato meticolosamente pianificato. Le immagini recuperate di quei drammatici istanti, mostrano l’uomo con in mano due coltelli da 30 cm. Indossava guanti, per evitare che gli scivolassero dalle mani. Nello zaino aveva altri due coltelli, nel caso si fossero resi necessari.

Eppure in quest’uomo solitario, a dire dei parenti, non c’era nulla che potesse far sospettare la possibilità di un crimine così orrendo. Secondo il professor Takayuki Harada, psicologo criminale che ha parlato alla NHK, alla base dell’azione di Iwasaki “il sospettato deve aver avuto un forte intento omicida. Ha premeditato il suo atto. I suoi impulsi distruttivi, il risentimento e la depressione devono essere ribolliti dentro di lui”. Ma alla base di tutto deve esserci stata una volontà suicida, ha spiegato lo specialista. E almeno nella morte, purtroppo, Iwasaki deve aver deciso in maniera criminale di non essere solo.