Sudan, calma irreale a Khartoum, città convive con la protesta

Il racconto di uno straniero: rischio violenze resta altissimo

APR 30, 2019 -

Roma, 30 apr. (askanews) – Nonostante il sit-in permanente dei manifestanti davanti al quartier generale dell’esercito, la vita a Khartoum va avanti “in un clima ancora di relativa sicurezza”, senza checkpoint per le strade, ma “si percepisce una sensazione di precarietà”, mentre proseguono i negoziati tra il Consiglio militare insediatosi due settimane fa, dopo la destituzione del presidente sudanese Omar al Bashir, e i dimostranti che chiedono il passaggio di consegne a un governo civile. E’ quanto ha raccontato ad askanews, sotto anonimato, un funzionario internazionale che lavora da anni nella capitale sudanese, sottolineando che “la protesta è iniziata e si sta svolgendo in maniera totalmente pacifica” e, una volta caduto Bashir, anche “l’esercito ha rispettato la promessa di non ostacolare le manifestazioni e di non rispondere con la violenza”.

“E’ quindi importante che nessuno faccia saltare il tavolo del negoziato, perchè la situazione è talmente volatile, instabile che può cambiare in modo repentino, e non si può escludere il ricorso alla forza”, ha aggiunto.

I negoziati tra militari e manifestanti hanno portato finora a un accordo per la creazione di un consiglio civile-militare che guidi il paese per i prossimi due anni, ma si sono arenati sulla composizione di questo nuovo organismo. L’alleanza che rappresenta i manifestanti, Forze della libertà e del cambiamento, chiede che sia formato da otto civili e sette militari, mentre il Consiglio militare vuole sette seggi per i militari e tre per i civili. Il Consiglio ha anche chiesto la smobilitazione del sit-in, in atto ormai da oltre tre settimane, richiesta respinta dall’Associazione dei professionisti sudanesi (Aps), organizzazione leader della protesta, “con medici, ingegneri, architetti e insegnanti in prima linea, che sono riusciti a coinvolgere sempre più settori della società”.

Secondo quanto raccontato dal funzionario, “contrariamente a tutte le aspettative, la protesta tiene, perché stanno arrivando persone da tutto il Paese, l’Aps ha dimostrato capacità di mobilitazione, e sicuramente in questo stanno aiutando anche i partiti di opposizione, che si son uniti alla protesta in una fase successiva, e che hanno una loro base e risorse per organizzare il movimento e il sostentamento di tante persone”.

Ora “è essenziale il sostegno della comunità internazionale”, soprattutto per far fronte alla “miccia” che ha innescato la protesta, ossia “una situazione economica disastrosa, un Paese al collasso”, denuncia il funzionario. “Perchè un Sudan guidato da un esecutivo ben accetto dalla comunità internazionale potrebbe accedere ai finanziamenti della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale”, avviando così un cammino di sviluppo economico di un Paese dove il 46,5% degli oltre 40 milioni di abitanti vive in condizioni di povertà.

Le proteste sono infatti iniziate lo scorso dicembre quando il governo ha eliminato i sussidi per l’acquisto di beni di prima necessità, come pane e latte, e i pezzi sono triplicati. “L’inflazione è galoppante, la moneta si è svalutata, siamo di fronte a un Paese in caduta libera”, per questo è essenziale il sostegno della comunità internazionale, che teme anche “che il Sudan possa scivolare in una situazione simile alla Libia”, dal momento che, come in Libia, anche in Sudan “la componente tribale è fondamentale”, complicando così i processi di composizione tra le parti.