I grandi elettori votano il presidente Usa: come funziona

Trump ne ha ottenuti 306, Clinton 232

DIC 19, 2016 -

New York, 19 dic. (askanews) – Le riunioni del Collegio elettorale, convocate in ogni Stato (e nel District of Columbia) sei settimane dopo le elezioni presidenziali, sono normalmente state poco più di una formalità per sancire, con il voto dei 538 grandi elettori, la vittoria di un candidato e la sua elezione alla presidenza degli Stati Uniti. Bisogna ricordare che gli elettori statunitensi non eleggono direttamente il presidente, ma i grandi elettori, che poi eleggono il capo di Stato; il candidato presidenziale che vince in uno Stato ottiene la totalità dei suoi grandi elettori (tranne in Maine e Nebraska).

La vittoria del repubblicano Donald Trump, che ha perso nettamente il voto popolare, ottenendo però un netto vantaggio (306 contro 232 di Hillary Clinton) nei voti elettorali (o grandi elettori) ha però spinto il Collegio elettorale sotto i riflettori della politica statunitense e dell’attenzione mondiale, forse per la prima volta. Le conclusioni delle agenzie di intelligence, secondo cui la Russia avrebbe cercato di interferire nelle elezioni per danneggiare la democratica Hillary Clinton, hanno solo intensificato l’attenzione verso i grandi elettori. Il presidente Barack Obama ha definito il Collegio elettorale – originariamente un compromesso tra coloro che volevano che fosse il Congresso a scegliere il presidente e coloro che preferivano il voto popolare – un “vestigio”.

– Chi sono gli elettori?

Gli elettori sono persone scelte dalle autorità statali dei partiti per votare il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti. Possono essere i leader dei partiti a livello statale o funzionari eletti; certe volte si tratta di individui con connessioni personali con un candidato presidente. Bill Clinton, per esempio, quest’anno è un elettore dello Stato di New York. Il numero degli elettori di ogni Stato è pari alla somma dei suoi rappresentanti alla Camera (in numero proporzionale alla popolazione) e in Senato (due); si arriva al totale di 538 grandi elettori con i tre assegnati al District of Columbia.

– Cosa succede?

Gli elettori si incontreranno nei rispettivi Stati, di solito in Parlamento, dove esprimeranno due preferenze: una per il presidente e l’altra per il vicepresidente. Poi, prepareranno il cosiddetto “certificato di voto” con i risultati, da spedire ai National Archives, dove saranno registrati ufficialmente, e al Congresso.

– Gli elettori devono votare seguendo i risultati del voto popolare nel proprio Stato?

Non necessariamente. Almeno un elettore repubblicano del Texas ha detto che non voterà per Donald Trump. Nessuna legge federale, e nemmeno la Costituzione, costringe gli elettori a votare in un certo modo; ci sono però alcune leggi statali che obbligano gli elettori a votare seguendo l’indicazione popolare e che prevedono che gli “elettori infedeli” siano multati o persino esclusi e rimpiazzati. Un’eventualità che non si è mai verificata, visto che pochissimi grandi elettori, nella storia statunitense, hanno votato senza seguire le indicazioni popolari. La Corte Suprema non si è mai espressa sulla costituzionalità di questo obbligo a votare in un determinato modo.

– Chi conta i voti?

Venerdì 6 gennaio, alle 13, i membri di Camera e Senato si incontreranno per contare i voti. Il vicepresidente Joe Biden, come presidente uscente del Senato, dovrebbe presiedere il conteggio, durante il quale il voto di ogni Stato è aperto e annunciato in ordine alfabetico. Poi, Biden dichiarerà il vincitore, ovvero il candidato che avrà ottenuto la maggioranza dei voti, cioè almeno 270.

– Tutto finito?

A quel punto, Biden chiederà se ci sono obiezioni; i parlamentari potranno contestare i singoli voti elettorali o i risultati di un intero Stato. Se un elettore ha scelto di votare contro il voto popolare nel proprio Stato, questo è il momento in cui i parlamentari possono chiedere di cancellare il suo voto. Le obiezioni devono essere scritte e firmate da almeno un membro della Camera e uno del Senato. Di fronte a un’obiezione, la Camera e il Senato si dividono e avranno due ore per decidere se sostenere l’obiezione. Le Camere poi torneranno a riunirsi e condivideranno le rispettive decisioni; se entrambe saranno d’accordo con l’obiezione, il voto sarà cancellato; il Congresso, però, non ha mai sostenuto un’obiezione a un voto elettorale. Una volta risolte tutte le obiezioni, i risultati saranno considerati finali. Il passo successivo sarà il giuramento del vincitore, il 20 gennaio.