Marcia senza ritorno: su stragi armeni un libro benedetto dal Papa

Franca Giansoldati ricostruisce la "discesa agli inferi" del 1915

APR 20, 2015 -

Roma, 20 apr. (askanews) – 24 aprile 1915: comincia con una luminosa giornata primaverile sul Bosforo la ricostruzione della “discesa agli inferi” della comunità armena nell’Impero Ottomano, realizzata da Franca Giansoldati nel suo libro “La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno”, basato in buona parte su documenti degli archivi del Vaticano e pubblicato da Salerno Editrice nel centenario dei massacri e delle deportazioni costati la vita a un milione e mezzo di armeni.

Inatteso, inspiegabile anche agli occhi di gran parte delle future vittime, nella notte tra il 23 e il 24 aprile scattava il Metz Yeghern, il Grande Male. E’ questa l’espressione con cui gli armeni sintetizzano il capitolo più buio della loro storia di popolo con una forte identità di “nazione cristiana” (fin dal 300 dc) e una debole dimensione statuale: l’Armenia come repubblica indipendente nasce nel 1918, proprio sulla scia di quei tragici fatti.

L’opera di Giansoldati propone una minuziosa cronaca di eventi che l’Europa e il mondo hanno voluto dimenticare in fretta, ancora oggi motivo di incomprensione ed incredulità, oltre che di polemiche e duri scontri con la Turchia che si vuole erede di quell’impero. L’ultimo, quello tra papa Francesco e i vertici turchi, che nella denuncia del genocidio degli armeni vedono un attacco diretto contro di loro, anche se nessuno certo può imputare alla Turchia di oggi la responsabilità di tragiche decisioni prese a quei tempi. E “La marcia senza ritorno” è per questo scontro una sorta di prologo: “Un lavoro di inchiesta storica, preziosa al recupero della memoria quale forma di giustizia e via alla pacificazione”, scriveva infatti il Pontefice il 3 marzo 2015 in una lettera all’autrice. Poco più di un mese dopo, le parole sui massacri degli armeni, “primo genocidio del XX secolo”.

Ma cosa c’è all’origine della questione armena nell’Impero ottomano? “Anche se all’epoca la parola genocidio non era stata ancora coniata, avanzava il panturchismo e il piano di omogeneizzazione dell’impero turco – spiega Giansoldati – . “La Turchia ai turchi” ripetevano i triumviri dei Giovani Turchi Talat, Enver e Djemal. Il piano di sterminio ha una genesi lontana, e’ il frutto avvelenato del nazionalismo e di un preciso calcolo politico: l’impero ottomano si stava disintegrando, era fortemente indebitato a causa delle guerre. Pianificare la cancellazione della minoranza armena, ricchissima e influente, avrebbe risolto diversi problemi in un colpo solo”.

Seguono omicidi, eliminazioni sistematiche, soprattutto deportazioni (la cosiddetta “Marcia della Morte” verso campi profughi senza le minime condizioni per la sopravvivenza) che, complessivamente, costarono la vita a un milione e mezzo di armeni secondo gran parte degli storici occidentali. Per i turchi, in base a diverse fonti, tra i 300 e i 500mila.

“Ridimensionare” è la via scelta da subito dalla Turchia moderna, che si mobilita per mandare in archivio la questione armena, per diversi motivi. “La Turchia moderna, quella uscita dalla prima guerra mondiale (come alleata della Germania), prende corpo con la presa del potere di Ataturk che nel 1923 impone alle potenze europee di ritornare al tavolo negoziale per firmare una nuova intesa, quella di Losanna, dove scompare la questione armena. Una specie di pietra tombale anche sui fatti del 1915. Il genocidio dimenticato. Riconoscere il genocidio oggi significa per la Turchia riaprire la questione dei risarcimenti e dei confini”. Per questo oggi, ma non solo per questo, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan non risparmia a nessuno, Papa compreso, la propria furia ogni volta che viene usata la parola “genocidio”.

Il centenario, però, ha riacceso un faro su quei tragici eventi, che saranno commemorati in Armenia il 23 e 24 aprile, alla presenza di delegazioni internazionali, altro capitolo che indispone Ankara. Ma il libro di Franca Giansoldati è soprattutto un invito a non dimenticare, proprio nel momento in cui in Medio Oriente, per diversi motivi e con differenti dinamiche, i cristiani si ritrovano sotto quotidiana minaccia di violenze e persecuzioni. “Ricostruire la verità storica oggi è più facile grazie alla disponibilità dei materiali di archivio. Archivi in Vaticano, negli Usa, in Francia, in Germania, in Italia – osserva la giornalista – Documenti inoppugnabili dimostrano che fu opera di un piano preparato a tavolino, meticoloso e crudele. Riconoscerlo a distanza di cento anni significa fare un servizio alla memoria collettiva e impedire altri capitoli neri come il Metz Yeghern, il Grande Male”.