Perché l’euro è ai minimi da 5 anni (poco sopra 1,05 dollari)

Divario Fed-Bce sui rialzi dei tassi e rischi sul gas russo

APR 27, 2022 -

Cambi Roma, 27 apr. (askanews) – Euro mai così basso dall’inizio del 2017: con un minimo di seduta a 1,0515 dollari la valuta unica ha segnato valori che non si vedevano da oltre cinque anni. A guidare l’ultimo scivolone è stata una nuova impennata del biglietto verde, sferzato dalla prospettiva ormai sempre più probabile di una accelerazione della Federal Reserve sui rialzi dei tassi in risposta alla galoppante inflazione. Alla prossima riunione del direttorio, il Fomc che si svolgerà il 3 e 4 maggio la banca centrale americana potrebbe decidere un nuovo rialzo sul costo del danaro, ma stavolta di 50 punti base, e alcuni analisti, ispirati dei componenti più intransigenti della Fed, ipotizzano anche un rialzo da 75 punti base. Peraltro la banca centrale americana è sul punto di iniziare anche a ridurre la mole del suo bilancio, evitando di rinnovare parte degli stock di titoli acquistati negli anni scorsi quando giungeranno a scadenza. La postura della Bce è molto meno aggressiva: ad oggi l’istituzione monetaria si è limitata a decidere una leggera accelerazione alla fase di progressiva riduzione degli acquisti di titoli, che però al momento sono destinati a continuare almeno fino a tutto giugno. Solo dopo potrebbe procedere al rialzo dei tassi. E sulla tempistica di questa mossa finora l’istituzione è stata molto vaga, volutamente, salvo poi creare una certa confusione negli ultimi giorni con dichiarazioni che non escludevano un aumento già da luglio. Senza citare il fatto che di riduzione del bilancio al momento alla Bce non si parla proprio e a bocce ferme non accadrà prima di fine 2024. Oggi, intervenendo ad un convegno, la presidente Christine Lagarde ha ribadito che al consiglio direttivo “siamo pienamente impegnati ad assicurare che l’inflazione si stabilizzi al 2% sul medio termine, che è quanto richiesto dal nostro mandato”. Il problema è che l’inflazione nell’area euro è al 7,5% e minaccia di andare oltre, superando quindi il quadruplo dell’obiettivo previsto della Bce. E la velocità con cui si stanno muovendo altre banche centrali nel mondo, a cominciare dalla Fed, ma anche la Banca d’Inghilterra, mette maggiormente in rilievo la cautela, vedi la lentezza, della Bce nel reagire al carovita. La scelta dell’istituzione di Francoforte ovviamente non è priva di giustificazioni più che sensate: a più riprese, sia Lagarde, sia il capo economista Philip Lane hanno rilevato che una stretta dei tassi adesso non farebbe praticamente nulla sul fattore che maggiormente sta spingendo l’inflazione, ovvero i rincari dell’energia, mentre rischierebbe di frenare una ripresa economica che è in una fase meno avanzata rispetto a quella degli Usa. E la guerra in Ucraina assieme alle sanzioni contro la Russia, che hanno preso di mira anche parte delle forniture energetiche, ha ulteriormente complicato questo quadro, creando ulteriori pressioni sui prezzi e volatilità anche dei mercati. E non può che alimentare i timori anche sulle prospettive di crescita economica. L’ultimo scivolone dell’euro giunge anche contestualmente all’annuncio della Russia sullo stop alle forniture di gas a Polonia e Bulgaria, che non hanno voluto utilizzare quell’articolato meccanismo preteso da Mosca, per rivendicare che si fa pagare il gas in rubli, sebbene di fatto gli importatori effettuino gli esborsi in euro o dollari usando conti di Gazprombank. Il timore, ipotizzato dal Financial Times, è che se le frizioni con Mosca dovessero proseguire o peggiorare misure analoghe potrebbero prendere di mira anche Germania e Italia, mettendo a quel punto molto più in difficoltà l’economia complessiva dell’eurozona. E questo potrebbe contribuire a pesare sulla parità dell’euro. In serata la valuta condivisa ritraccia in parte a 1,0566 dollari. La prossima riunione operativa del consiglio direttivo della Bce è prevista per il 9 giugno, in trasferta in Olanda.in quella occasione verranno pubblicate anche le nuove previsioni economiche, che solitamente sono la base su cui assumere decisioni di politica monetaria.