Bonomi è pessimista sul pil e chiede un patto con governo e sindacati

Audizione del presidente di Confindustria in parlamento

APR 12, 2022 -

Def Roma, 12 apr. (askanews) – “Il quadro macroeconomico del Def che delinea una crescita tendenziale del Pil al 2,9% nel 2022 basato su una contrazione dello 0,5% nel primo trimestre, una ripresa nel secondo e nel corso dei mesi estivi un ritorno a una crescita a ritmi sostenuti, appare ottimistico e sembra non cogliere le straordinarie difficoltà dell’attuale situazione”. A sottolinearlo è il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, in audizione sul Def davanti alle Commissioni Bilancio della Camera dei Deputati e del Senato. Il Centro Studi di Confindustria stima per quest’anno un incremento del Pil del +1,9% “ma, si noti bene: la variazione positiva – ha spiegato Bonomi – è interamente dovuta a quella già acquisita a fine 2021, pari a +2,3%, grazie all’ottimo rimbalzo dell’anno scorso. Infatti, qualsivoglia variazione del Pil inferiore al 2,3% annuo significa che quest’anno saremo in recessione”. Il Csc, “sulla base di ipotesi che non sono da considerare pessimistiche”, ossia la fine della guerra e la riduzione dei suoi principali effetti a giugno, l’assenza di un razionamento dell’energia elettrica per il settore produttivo, il crollo dei contagi e dei suoi effetti e l’attuazione del Pnrr, stima che “nei primi due trimestri l’economia italiana entri in una recessione tecnica, -0,2% e -0,5% rispettivamente, e questa non sarà compensata dalla lieve ripresa attesa nella seconda metà dell’anno. E, a marzo, un’ulteriore caduta della produzione industriale pari al -1,5%”, ha detto il presidente di Confindustria. “Riteniamo sia indispensabile partire dalla sterilizzazione degli aumenti dei prezzi di gas e petrolio per imprese e famiglie da inquadrare in una risposta di sistema, un patto a tre con Governo e sindacati” ha aggiunto Bonomi. Perché se non si interviene sui rincari, le imprese saranno costrette a fermarsi, e questo comporterà inevitabili costi sociali. Il momento richiede responsabilità e spirito di coesione. Questo dobbiamo averlo presente tutti”. I sindacati, secondo Bonomi, “devono essere consapevoli che occorre discutere e affrontare le cause dei problemi e, solo in seconda battuta, individuare le soluzioni anche alle loro istanze. Se si pretende di discutere di redditi senza domandarsi come generare le risorse per corrisponderli, sarà tempo perso. Nel contempo, è di tutta evidenza che la presenza del Governo – come accadde col Protocollo del 1993 – amplia necessariamente la prospettiva e la colloca dentro una ‘politica dei redditi’ che impone di discutere di costo del lavoro. Si tratterebbe di ripartire dall’ultimo accordo interconfederale del 2018″. Bonomi ha quindi lanciato un allarme: Produzione ridotta per quasi un’impresa su due entro fine giugno. “Da una nostra indagine svolta su un campione di imprese associate emerge che oltre il 16% delle imprese ha già ridotto la produzione. E oltre 1/3 indica di poter continuare soltanto per 3 mesi senza sostanziali sospensioni. Quindi tra due mesi e mezzo, quasi 1 impresa su 2 avrà ridotto la produzione”. Lo scenario economico “è dominato dalle estreme tensioni e incertezze generate dall’invasione russa in Ucraina. La guerra – ha detto Bonomi _ si innesta su un quadro già reso difficile dal perdurare della pandemia, delle pressioni al rialzo sui prezzi di varie commodity, dal reperimento di materie prime e materiali e dei colli di bottiglia in alcune catene di fornitura globali. Per l’Italia, il gas russo copre il 38% del consumo”. I rincari di petrolio e gas, secondo il leader di Confindustria “stanno facendo crescere i costi delle imprese con un aumento della bolletta energetica italiana che, ai prezzi attuali, sarebbe di 5,7 miliardi su base mensile, 68 miliardi su base annua. Le imprese hanno finora in gran parte assorbito nei propri margini, fino ad annullarli in alcuni casi, questi aumenti dei costi. I margini erosi spiegano perché l’inflazione di fondo in Italia è la più bassa in Europa”. “La Germania – ha fatto notare Bonomi – sta stanziando 100 miliardi di euro per sostenere le imprese attraverso linee di credito emergenziali, interventi sull’equity e sovvenzioni per compensare gli aumenti dei costi. Noi con il Def stanziamo 5 miliardi. Un’eventuale soluzione ravvicinata del conflitto avrebbe l’effetto di attenuare gli impatti ma non di azzerarli. Ed è per questo che continuiamo a ritenere insufficiente l’approccio di brevissimo periodo sinora seguito dal Governo. Serve una risposta più robusta, di sistema e soprattutto duratura”. “È cruciale che all’unità che si riscontra a livello europeo nella individuazione delle sanzioni corrisponda – ha poi aggiunto Bonomi – una medesima unità nel fronteggiare gli impatti della guerra e delle sanzioni. Le imprese sono al fianco del Governo e dell’Europa, ma occorre approntare gli strumenti adeguati per far sì che non venga distrutto in tutto o in parte il nostro tessuto produttivo”. Alle imprese, ha sottolineato il presidente di Confindustria, non si può chiedere di aumentare il costo del lavoro. “Va evitato il pericolo di alimentare ulteriormente la spirale inflattiva con una non corretta politica dei redditi”. Il Def “opportunamente richiama la validità del sistema attuale basato sul meccanismo dell’Ipca al netto degli energetici importati, in virtù del quale, quando i prezzi energetici scenderanno la forbice tra inflazione e andamento delle retribuzioni si invertirà nuovamente e il potere d’acquisto riguadagnerà terreno rispetto ai prezzi. Non è possibile chiedere alle imprese, che si stanno già fermando per gli aumenti dei costi degli input, anche un aumento del costo del lavoro”, ha spiegato Bonomi. È, invece, secondo il presidente di Confindustria, “ancora più opportuno, proprio in questo quadro, un intervento sul costo del lavoro. Non basta alleggerire il prelievo fiscale, come è stato fatto con l’ultima legge di bilancio, ma bisogna anche intervenire sul costo del lavoro. Riteniamo sia indispensabile partire dalla sterilizzazione degli aumenti dei prezzi di gas e petrolio per imprese e famiglie da inquadrare in una risposta di sistema, un patto a tre con Governo e sindacati. Perché se non si interviene sui rincari, le imprese saranno costrette a fermarsi, e questo comporterà inevitabili costi sociali”. Mlp/Pie