Lo smart working diventa Radical(e)

Come è cambiato - e migliorato - il mondo del lavoro post-Covid

SET 18, 2021 -

Lavoro Roma, 18 set. (askanews) – Settembre è il mese della ripartenza, non solo scolastica, e la domanda che molte aziende si sono poste dopo il Covid è proprio se continuare lo smart working o tornare in presenza massivamente. Il 2020 ha visto infatti coinvolto 97% delle grandi imprese nel lavoro a distanza, con il 94% della Pubblica Amministrazione italiana e il 58% delle PMI, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori, circa un terzo dei dipendenti italiani. Ben 10 volte più dei 570mila censiti nel 2019, una vera e propria testimonianza del boom dello smart working che sembrerebbe promettere una conferma anche per gli anni a venire. Se ci spostiamo negli Stati Uniti, quasi due terzi delle oltre 200 aziende della new economy, che hanno risposto a un sondaggio di metà luglio condotto dalla Bay Area Council (la principale associazione imprenditoriale di San Francisco, ndr.), hanno affermato di aspettarsi che i propri dipendenti possano ritornare in ufficio due o tre giorni alla settimana massimo. E se Microsoft e Amazon hanno proposto un rientro più importante a partire dai prossimi mesi, Google lo ha spostato al 2022, consentendo al 20% del suo personale di lavorare in remoto su base permanente e passare a un modello ibrido per gli altri; così Facebook, Apple, Airbnb, che non prevedono rientri per il prossimo anno; mentre Twitter, LinkedIn e Coinbase lasceranno la scelta ai dipendenti, permettendo loro di lavorare da qualsiasi posto. Ma cosa accade in Italia? Molte delle decisioni che riguardano la Pubblica Amministrazione e le grandi aziende sono state regolate dai contratti nazionali: la prima prevede un ritorno in presenza di tutti il prima possibile; mentre per grandi gruppi come Bankitalia si parla di massimo 10 giorni al mese e 100 all’anno per il lavoro da remoto; INPS 2 giorni a settimana da remoto e Ferrovie dello Stato da 6 a massimo 11 giorni al mese in remoto. A fare da contrappeso e segnare un passo sono le aziende digitali, le startup, che cercano invece di lasciare piena libertà seguendo i modelli americani. Per Alessandro Seina, Ceo di Radical Storage (www.radicalstorage.com) leader globale del deposito bagagli con 3mila punti di deposito in tutto il mondo, la soluzione è stata presa grazie ai numeri registrati nell’ultimo anno, che hanno dimostrato la potenza di uno strumento come lo smart working. “Abbiamo collaboratori in tutte le parti del mondo – spiega Seina – e anche a chi si trova in Italia è sempre stata data la facoltà di decidere da dove lavorare. Può sembrare un’ovvietà ,ma quello che conta non è il tempo che passi davanti a una scrivania, ma la qualità del tempo e i risultati ottenuti. Nonostante la a difficoltà del nostro settore noi non abbiamo notato alcuna flessione, anzi, la produttività ha avuto uno sprint. Il nostro rientro sarà un modello ibrido, consentendo il lavoro da remoto e pianificando dei momenti di aggregazione come, per esempio, il Radical Camp. Si tratta di un appuntamento fisso di 2 o 3 giorni una volta ogni 2 mesi in una località diversa, dove poterci ritrovare tutti insieme, per verificare e definire gli obiettivi, ma anche per svegliarci la mattina e usare la stessa macchinetta del caffè”. Una scommessa e una sfida, questa, che si propone per molti come l’occasione di creare una cultura all’interno della propria azienda e del proprio paese, che avvalli questo modello e che riesca a far sentire tutti parte di un progetto e di esserne responsabili, anche se non si condivide la stessa stanza. “La vera difficoltà per le aziende sarà la capacità di misurare i risultati – conclude Seina – questo è ovviamente più facile per le aziende digitali come noi, che misurano ogni scelta in base a metriche, a differenza delle aziende tradizionali o addirittura della Pubblica Amministrazione, che su questo aspetto sono più indietro, ma che ci auguriamo potranno sfruttare questo momento per recuperare terreno e dare al Paese un’opportunità in più”.