Perché la Cina vuole affossare il bitcoin

I motivi

MAG 20, 2021 -

Criptovalute Roma, 20 mag. (askanews) – La Cina, impegnata nello sperimentare e mettere in campo la sua valuta digitale, ha dato una forte spallata al mercato delle criptovalute. Dopo che Elon Musk ha annunciato che la sua Tesla non avrebbe più accettato pagamenti in bitcoin, è arrivato lo schiaffone cinese con le autorità regolatorie che hanno vietato alle istituzioni finanziarie e alle piattaforme di pagamento di fornire servizi in criptovalute. Un segnale ulteriore che Pechino non vuole troppa concorrenza rispetto alla sua piattaforma Digital Currency Electronic Payment (DCEP), vale a dire lo yuan virtuale, per il quale ha lanciato già diverse sperimentazioni nel paese. Il bitcoin è sceso sotto i 40mila dollari, il livello più basso degli ultimi tre mesi e mezzo, con un calo del 40 per cento rispetto al massimo raggiunto a metà aprile, e anche altre criptovalute hanno subito cali in doppia cifra in termini percentuali. La Cina ha puntato con una certa decisione sulla creazione di una propria valuta digitale, mentre Stati uniti e Unione europea appaiono molto più prudenti su questo fronte. Ma dietro la spallata cinese alle criptovalute ci sono anche altri ragionamenti. Da tempo Pechino ha una visione negativa delle criptovalute, che teme possano porre rischi al sistema finanziario interno e che portino a un aumento della speculazione. Già da diversi anni la Banca del popolo cinese, l’istituto centrale, ha vietato tutta una serie di transazioni in criptovalute. L’altra valutazione che spinge le autorità cinesi a essere così ostili alle criptovalute è di natura più squisitamente ambientale. Le attività di mining sono fortemente energivore e vanno a impattare sullo stringente piano di transizione ambientale che è diventato la cifra della presidenza di Xi Jinping dopo che lo scorso anno il presidente ha fissato per il 2060 la deadline per la decarbonizzazione. La Cina è il principale centro di mining per il bitcoin e, secondo il Centro per la finanza alternativa dell’Università di Cambridge, nel 2019 il mining dei bitcoin in Cina ha consumato più energia elettrica dell’Argentina. E, seocndo le stime, solo per questa attività il consumo di energia nel 2024 potrebbe raggiungere il consumo totale di energia dell’Italia. Il mining di bitcoin avviene in diverse province della Cina, ma è particolarmente critica l’attività in Mongolia Interna, nel nord della Cina, dove la gran parte della produzione di elettricità è generata dal carbone e quindi produce molti gas serra. Sono stati segnalati – secondo il giornale economico cinese Caixin – anche compagnie che si fanno passare per data center in modo da beneficiare di politiche preferenziali per quanto riguarda le tasse e i prezzi di terreni e di elettricità. Così le autorità locali hanno promesso a febbraio di chiudere tutti i progetti di mining di criptovalute nella regione entro la fine di aprile per tagliare un consumo di energia pari al 3 per cento del Pil. Nel XIV Piano quinquennale varato quest’anno dal Partito comunista cinese, che guiderà lo sviluppo del paese fino al 2025, la costruzione di nuove strutture per il mining di criptovalute è stata esplicitamente vietata. Mos