Ecco perché la revoca delle concessioni scatenerebbe un terremoto sui mercati

Il capitale di Aspi è detenuto da grandi investitori internazionali

LUG 13, 2020 -

Roma, 13 lug. (askanews) – La revoca delle concessioni autostradali provocherebbe l’immediato fallimento di Autostrade per l’Italia, con effetti a catena per la controllante Atlantia e un probabile default del debito complessivo per 19 miliardi di euro. Questa la stima degli analisti, che spiegano così il crollo del titolo di Atlantia in borsa.

In particolare, in caso di revoca delle concessioni, Aspi dovrebbe dichiarare fallimento tenendo anche presente che con il decreto Milleproroghe sono venute a mancare le risorse per il ripagamento di quasi 10 miliardi di debito complessivo. A catena l’impatto si ripercuoterebbe poi sul ripagamento di 9 miliardi di debito di Atlantia (che controlla l’88% del capitale di Autostrade per l’Italia ed è garante inoltre di circa 5 miliardi di debito della controllata).

Il default per 19 miliardi di debito avrebbe serie conseguenze sui mercati obbligazionari e bancari europei visto che la maggior parte del debito è rappresentato da titoli quotati detenuti da grandi investitori di debito internazionali, oltre che da grandi istituzioni finanziarie europee e italiane, oggetto anche di prestiti LTRO della Banca Centrale Europea. Per altro Autostrade per l’Italia ha anche emesso un prestito obbligazionario retail (per 750 milioni) detenuto da circa 17 mila piccoli risparmiatori italiani.

Per gli analisti, verrebbe così distrutto uno dei pochi gruppi italiani leader nel mondo, presente il 24 paesi. Inoltre il capitale di Autostrade per l’Italia è detenuto da grandi investitori internazionali, come il gruppo assicurativo Allianz (7% del capitale assieme ai suoi partner), nonché il fondo sovrano cinese Silk Road Fund (5% del capitale), oltre che da Atlantia, società fra le “blue chips” della Borsa Italiana che conta oltre 40 mila azionisti, fra cui il fondo sovrano di Singapore Gic (8,1% del capitale), la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (4,8% del capitale) e i maggiori investitori istituzionali internazionali del mondo (prevalentemente società di gestione di Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania e Australia) e i risparmiatori italiani. Uno scenario che creerebbe un precedente unico, scoraggiando totalmente ogni nuovo investimento estero in Italia.

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