Quando il telelavoro non è “smart”

L'opinione

GIU 21, 2020 -

Roma, 21 giu. (askanews) – “Quello che si è fatto in Italia non è un vero e proprio smart working ma più semplicemente si è trattato di una trasposizione delle mansioni: le stesse che prima venivano svolte in presenza ora invece vengono fatte nello spazio della propria casa: è stato più un telelavoro che uno smart working”. È quanto ha detto Sebastiano Fadda, presidente dell’INAPP, Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, intervistato da Tgcom24.

“Smart work significa lavoro “intelligente” – ha proseguito Fadda – ma diventa “intelligente” se diventa il riflesso di un modo nuovo di gestire i processi produttivi, sia di beni che di servizi. Questo richiede una reingegnerizzazione dei processi produttivi, organizzandoli con le nuove tecnologie caratterizzate da massiccia presenza di robotica, di cibernetica, di “Internet of things”, di macchine che dialogano con macchine. Processi produttivi nei quali il lavoro delle persone si inserisca organicamente interagendo con tali sistemi complessi in un regime di connessione totale. E’ l’inserimento in simili processi ristrutturati – ha concluso il presidente dell’INAPP – che deve dare spazio e concretezza a un nuovo ruolo e a una nuova fisionomia del lavoro, appunto, dello “smart work”.

Cam/Int2