Bono: rimettere l’industria al centro del dibattito economico

L'ad di Fincantieri in una intervista a Dimensione Informazione

NOV 15, 2019 -

Roma, 15 nov. (askanews) – Quasi 20 anni alla guida di Fincantieri, anni che hanno rappresentato un totale cambiamento nella cantieristica italiana, che hanno portato Fincantieri a superare i momenti di crisi grazie all’internazionalizzazione, in un settore che, come altri è interessante per eventuali gruppi stranieri. Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri, traccia un bilancio della sua esperienza iniziata nel 2002 e parla della nuove sfide in una intervista a Dimensione Informazione, mensile online di economia politica e società.

La cantieristica ha spiegato Bono a Dimensione Informazione, “è cambiata totalmente, perché i mutati scenari hanno reso inevitabile questo processo. Innanzitutto il pensiero non può che andare alla devastante crisi globale che ha colpito anche il settore della navalmeccanica a partire dal 2008, con gli ordinativi della crocieristica praticamente azzerati e ripercussioni che hanno causato la perdita in Europa di 50.000 posti di lavoro, considerando solo i diretti, nonché la chiusura di molti cantieri. Da una tale onda d’urto lo scenario non poteva che emergere radicalmente modificato. In quel frangente durissimo ho sempre sostenuto che chi fosse sopravvissuto sarebbe stato più forte di prima, e così è stato. La crisi, infatti, non solo ha rimodellato il panorama industriale, ma ha anche costretto i “superstiti” a cambiare il modo di guardare al futuro. La nostra strategia, risultata vincente, è stata di investire con decisione sull’internazionalizzazione e sulla diversificazione, puntando all’allargamento dell’offerta di prodotti e quindi del portafoglio clienti, nonché all’insourcing di attività “critiche”, cioè molto importanti per il nostro processo. Così, da quando nel 2002 servivamo solamente il gruppo Carnival nel comparto crocieristico e la Marina italiana in quello militare, oggi abbiamo un carico di lavoro complessivo di 106 navi, pari a oltre 32 miliardi di euro, e lavoriamo per i maggiori operatori crocieristici al mondo, la US Navy e numerose Marine estere”.

“Non saremmo riusciti a superare la crisi se non avessimo potuto contare su un portafoglio ordini consistente che ci ha fatto “traghettare” quella difficile fase per essere pronti ad agganciare la ripresa, peraltro a ritmi ben superiori rispetto a prima. Se posso peccare di modestia – ha aggiunto Bono – c’è un merito che può essere riconosciuto alla mia gestione durante quella fase cruciale: la lungimiranza”.

Sicuramente, ha proseguito l’ad, esiste un rischio di acquisizioni dall’estero di aziende italiane, impegnate nei settori strategici dell’alta tecnologia, della sicurezza e della difesa “specialmente quelle che vantano una tradizione di qualità, vengono assorbite da operatori stranieri perché non sono più in grado di competere su un mercato divenuto ormai troppo competitivo e ad appannaggio solo di gruppi che hanno raggiunto una ragguardevole massa critica”. Nel settore della cantieristica, perfino i grandi colossi stranieri si alleano tra di loro”. Diventa quindi “imprescindibile ragionare in termini globali per creare le condizioni affinché le nostre imprese possano competere ad armi pari con quelle cinesi, statunitensi, indiane, altrimenti il nostro continente rischia di essere la prima vittima della competizione”.

Quanto all’accordo per il controllo e la gestione da parte di Fincantieri del cantiere francese Chantiers de l’Atlantique “a fine settembre abbiamo notificato alla DG Competition di Bruxelles l’operazione per acquisire il controllo azionario degli Chantiers de l’Atlantique, ed è di pochi giorni fa la notizia che questa ha avviato un’ulteriore fase di indagine sull’operazione. La decisione definitiva è attesa entro il primo trimestre del prossimo anno”.

L’eventuale ipotesi di fusione fra Fincantieri e Leonardo, di cui pure si parla spesso, per Bono “richiederebbe valutazioni molto approfondite. Volendo banalizzare, bisognerebbe capire se attraverso di essa il valore finale del deal sarebbe maggiore della sommatoria o se, come credo, parte del valore iniziale andrebbe perduto. Fincantieri e Leonardo sono due società con una robusta presenza nel settore civile, e allo stesso tempo sono altrettanto forti nel comparto militare, con attività non sempre affini. Mettere insieme due universi come questi non solo sarebbe incredibilmente complesso, ma potrebbe essere anche rischioso per l’industria nazionale”.

“Non si può parlare di cantieristica italiana, francese o tedesca prescindendo da una cantieristica europea, anzi, mondiale”. In questo ambito, la politica può “creare le condizioni per assicurare che il sistema navalmeccanico italiano nel suo complesso possa continuare a prosperare nel lungo termine, anche attraverso un sempre maggior riconoscimento della strategicità del settore marittimo e con attività di presidio delle leve che la programmazione finanziaria europea 2021-2028 metterà a disposizione. Il rischio di perdere la partita della competizione globale è concreto e va affrontato fin da subito”.

Bono ha sottolineato la “necessità di rimettere l’industria al centro del dibattito economico nazionale. Non possiamo permetterci di perdere altro terreno rispetto ai nostri concorrenti, dobbiamo elaborare una strategia di medio-lungo periodo mirata a intervenire su natalità, ripresa degli investimenti pubblici e privati, innovazione e formazione. In un contesto caratterizzato sempre da maggiore incertezza e crescente dinamismo, infatti, l’Italia rischia di non recuperare più il differenziale rispetto alle altre nazioni trainanti. Va da sé che il declino del manifatturiero porterebbe al declino sociale, culturale, ambientale del Paese. L’industria, anche quella pesante, costituisce l’ossatura portante del sistema economico italiano. Senza le grandi imprese che investono e innovano continuamente non saremmo in grado di creare quel valore aggiunto che consente di mantenere inalterati quei livelli di welfare, di tutela ambientale, culturali faticosamente raggiunti nel secondo dopoguerra”.

Infine, un rapido identikit del nuovo presidente di Confindustria: “Per rispondere ai bisogni della società c’è sempre più necessità che emergano il merito e la meritocrazia. In tal senso gli industriali debbono stringere un’alleanza per far ripartire il manifatturiero che, come ho detto, costituisce la vera spina dorsale dell’economia del Paese. Il prossimo Presidente dovrà combattere per questi valori, altrimenti l’associazione rischia di non incidere in maniera significativa sulle scelte di politica industriale del Paese. Ci vorrà anche coraggio: in Friuli Venezia Giulia stiamo cercando di semplificare il sistema confindustriale, ma bisogna osare di più. Per questo motivo propugno un patto federativo che favorisca il “pentagono dello sviluppo” e coinvolga tutte le associazioni del Triveneto, dell’Emilia Romagna e della Lombardia. Lo stesso spirito di coesione dovrà essere trasmesso a livello nazionale, e mi auguro che il prossimo Presidente possa riuscirci”.