Ue, Rapporto su coesione: sviluppo a Est, stagnazione al Sud

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FEB 9, 2022 -

Ue Bruxelles, 9 feb. (askanews) – La politica europea di coesione, che sostiene la convergenza delle regioni economicamente in ritardo o in declino con quelle più sviluppate dell’Unione, è stata finora un successo nei paesi dell’Europa orientale, dove dal 2001 il Pil pro capite è aumentato avvicinandosi alla media Ue; ma nei ‘vecchi’ Stati membri dell’Europa meridionale (Italia e Grecia) e Sud occidentale (Spagna e Portogallo) si è registrato invece un sostanziale arresto di questa dinamica. Una stagnazione, dopo che negli anni scorsi erano stati raggiunti livelli medi di reddito, che la Commissione europea definisce come una ‘trappola dello sviluppo’. E’ una delle conclusioni più importanti dell’ottavo Rapporto triennale sulla Coesione nell’Ue, pubblicato oggi dalla Commissione e presentato in conferenza stampa a Bruxelles dalla commissaria europea responsabile, la portoghese Elisa Ferreira. La commissaria, fra l’altro, ha sottolineato che questa ‘trappola’ è causata dalla tendenza in certi Stati membri a concentrare in pochi poli nazionali l’ulteriore sviluppo economico, invece che decentralo in tutto lo spazio territoriale del paese. Ed è importante anche, dopo che sono stati già raggiunti livelli medi di reddito, spostare gli investimenti dalle infrastrutture di base al finanziamento della formazione altamente qualificata, dell’innovazione, del miglioramento della qualità dei servizi e delle amministrazioni locali (la ‘governance’). Un’altra conclusione rilevante riguarda l’importanza, ancora maggiore rispetto al passato, che hanno avuto i fondi di coesione nel periodo di programmazione 2014-2020, vista la forte riduzione degli investimenti pubblici registrata durante la Grande Crisi a causa dei tagli richiesti agli Stati membri dalle regole Ue di bilancio (il Patto di stabilità) e delle pressioni esercitate dai mercati durante la crisi dell’Eurozona. Nelle regioni assistite (più precisamente in 15 Stati membri), i finanziamenti della politica di coesione sono stati pari al 52% dell’investimento pubblico totale durante il periodo di programmazione 2014-2020, in forte aumento rispetto al 34% che rappresentavano nel periodo 2007-2013. In sostanza, a causa della crisi e delle politiche macroeconomiche sbagliate adottate dall’Ue e dagli Stati membri, invece di essere aggiuntivi rispetto agli investimenti pubblici dei paesi membri, i fondi di coesione li hanno in parte sostituiti. E’ una delle considerazioni che hanno portato la commissaria Ferreira a chiedere che sia stabilito anche per gli obiettivi della coesione un principio ‘Do Not Harm’ (‘non arrecare danno’) simile a quello oggi in vigore per tutte le politiche Ue rispetto agli obiettivi ambientali del Green Deal. ‘Le altre politiche Ue devono contribuire anch’esse alla coesione regionale, per troppo tempo sono state cieche’ rispetto a quest’obiettivo, ha detto la commissaria. La questione è particolarmente rilevante per il dibattito in corso sulla riforma del Patto di stabilità. Il Rapporto prevede che, grazie agli investimenti della politica di coesione nel periodo 2014-2020, il Pil pro capite delle regioni meno sviluppate dell’Ue aumenterà in media fino al 5% entro il 2023, con una riduzione del 3,5% del divario tra il Pil pro capite del 10% delle regioni meno sviluppate e quello del 10% delle regioni più sviluppate. Inoltre, i nuovi programmi della politica di coesione 2021-2027 continueranno a investire nelle regioni assistite in stretto coordinamento con la potenza di fuoco finanziaria del piano di ripresa post pandemico ‘Next Generation EU’. ‘Dal 2001 – spiega una nota della Commissione -, le regioni meno sviluppate dell’Europa orientale stanno recuperando terreno rispetto al resto dell’Ue. Allo stesso tempo, tuttavia, molte regioni a reddito medio e meno sviluppate, in particolare nell’Europa meridionale e sudoccidentale, hanno sofferto una stagnazione o un declino economico’. I risultati contraddittori messi in luce dal Rapporto non finiscono qui: c’è stata un’accelerazione della convergenza tra gli Stati membri, ma sono aumentate le disparità regionali interne proprio negli Stati membri in rapida crescita. Inoltre, nota ancora la Commissione, ‘l’occupazione è in crescita, ma le disparità regionali restano maggiori rispetto a prima del 2008’. Il numero di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale è diminuito di 17 milioni tra il 2012 e il 2019. Ma ancora una persona su cinque è a rischio di povertà e di esclusione sociale; e la pandemia ha aggiunto in questa categoria circa 5 milioni di persone. E’ cresciuto poi il divario nell’innovazione regionale, a causa della mancanza di investimenti in ricerca e sviluppo e delle debolezze negli ‘ecosistemi di innovazione’ per le imprese nelle regioni meno sviluppate. Fra l’altro, la digitalizzazione contiene nuovi rischi di divergenza, a cui bisognerà fare attenzione; mentre potrebbe presentare, in particolare con il telelavoro, delle opportunità di sviluppo importanti per i piccoli centri in declino e le aree rurali. ‘Ma queste opportunità – ha rilevato Ferreira – richiedono una strategia politica adatta, e investimenti’ perché si possa concretizzarle. Rischi e opportunità sono presenti anche nel Green Deal, che creerà nuova occupazione nei settori di punta della transizione energetica, ma anche perdita di posti di lavoro in diversi comparti tradizionali, in particolare nelle regioni più dipendenti dalle fonti fossili; in questo caso si dovrà utilizzare in modo efficace il ‘Just Transition Fund’, previsto dal Recovery plan europeo. Infine, la questione dell’invecchiamento demografico e della riduzione progressiva della popolazione dell’Ue. Il Rapporto nota che nel 2020 il 34% degli abitanti dell’Unione viveva in una regione con la popolazione in diminuzione, e prevede che questo dato raggiungerà il 51% nel 2040. Un fattore che rischia di aumentare le divergenze fra le zone più sviluppate e urbanizzate e le aree rurali e i piccoli centri. Durante la conferenza stampa, la commissaria Ferreira ha sottolineato soprattutto le ragioni per cui, mentre il reddito delle regioni assistite dei paesi dell’Est continua a convergere verso la media Ue, nelle regioni del Sud Europa, compreso il Mezzogiorno d’Italia, si è creata la ‘trappola dello sviluppo’ che ha portato stagnazione e declino. ‘Nel Sud Europa – ha spiegato – le regioni hanno cominciato da livelli di reddito molto bassi e hanno beneficiato di un aumento delle infrastrutture. Gli investimenti sono stati incanalati verso la costruzione di strade o di altre infrastrutture di base come per esempio in campo sanitario. Questo crea una forte spinta allo sviluppo, come oggi si vede chiaramente nei paesi dell’Est, dove c’è un costo del lavoro relativamente basso che attrae gli investimenti. Ma quando si raggiungono livelli di Pil pro capite più alti, diciamo il 75% (della media Ue, ndr), quando questa prima fase dell’investimento primario è completata, ci devono essere ulteriori riflessioni, più elaborate, nella nostra strategia di sviluppo’ per passare alla fase successiva. ‘Se si guarda alle mappe sulla crescita delle regioni dell’Ue e al rischio di stagnazione – ha continuato Ferreira -, questa dinamica riguarda il Portogallo, il Mezzogiorno d’Italia, la Grecia e parte della Spagna. C’è un’enorme opportunità ora: la transizione verso la nuova fase è possibile, ma questo significa – ha avvertito – che deve esserci una chiara strategia di sviluppo, che tenga conto di tutto lo spazio territoriale e che punti a un’analisi dettagliata dei fattori che potrebbero permettere un salto di competitività, con l’accesso agli ecosistemi europei industriali avanzati. Bisogna puntare risolutamente sull’innovazione, sul trasferimento di ‘know-how’ dai centri di ricerca e dall’università verso le imprese, e su una qualificazione delle amministrazioni pubbliche. Occorrono delle incitazioni mirate a una strategia chiara di uscita da questa situazione, che noi chiamiamo ‘la trappola del reddito medio’, una ‘Middle income trap’; e questa è una sfida per tutti’. ‘Bisogna rafforzare – ha insistito la commissaria – la qualità delle istituzioni a livello locale, dell’amministrazione pubblica, dell’innovazione, dell’istruzione, per passare al livello superiore di reddito, e anche a dei livelli di salari più alti, senza perdere competitività e produttività. Bisogna crescere di più grazie all’innovazione e alle nuove tecnologie’. Ma, ha rilevato Ferreira, ‘ci sono certi paesi in cui lo sviluppo viene concentrato su uno o due poli, e così non possiamo compensare il ritardo strutturale che finisce per investire tutto il territorio. Quando si raggiunge un livello medio di reddito pro capite’, in questi paesi ‘c’è spesso la tentazione di concentrare sempre di più gli investimenti nelle regioni più sviluppate, con l’idea che si sarà allora più in grado di fare concorrenza agli altri sul mercato interno e all’esterno’. ‘Quello che penso, e il Rapporto lo dimostra, è che questo sia un errore, una cattiva strategia’, ha sottolineato la commissaria: ‘In questo modo si crea una migrazione interna, una iperconcentrazione, con le persone che lasciano i luoghi dove sono nate e hanno vissuto; e questo uccide la dinamica dello sviluppo in certe regioni, perché tutto si concentra nei centri già sviluppati. Noi insistiamo sul fatto che bisogna invece guardare alle zone circostanti e cercare di riequilibrare lo sviluppo nazionale’. ‘Se si guarda ai paesi più sviluppati in Europa’, per esempio ‘alla Germania, ma anche a paesi più piccoli, o alla Francia, nonostante la tradizionale centralità di Parigi’, si nota, ha spiegato Ferreira, ‘una strategia, una dinamica multipolare’, ci sono, cioè, ‘diverse forze e poli di attrazione’. Perché ‘è questo che aumenta la resilienza di un paese e della sua economia’. ‘Mentre se si guarda ai paesi meno sviluppati, anche fuori dall’Ue, per esempio in Africa – ha aggiunto -, si vede che c’è una iperconcentrazione in alcune enormi metropoli, con molta congestione e un grande impatto negativo sull’ambiente. E questo limita la capacità dei centri urbani minori di sviluppare innovazione e tecnologie avanzate, che solo quei grandi poli possono sviluppare’. ‘Bisogna capire – ha concluso la commissaria – che dobbiamo andare contro il nostro istinto, conto questa tendenza a dire che siccome abbiamo già un polo dobbiamo concentrare tutto lì; no, nel lungo termine tutta la dinamica del paese ne è molto danneggiata, e si finisce col creare molta congestione e una fuga dei cervelli, all’interno e fuori del paese: che vuol dire, alla fine, una perdita di capitale umano e di potenziale’.