Studio punta il dito contro regole-capestro prestiti cinesi a stati

Le banche di stato di Pechino impongono priorità su restituzione

APR 1, 2021 -

Roma, 1 apr. (askanews) – Le pratiche seguite dalle banche di stato cinesi nei confronti dei paesi esteri quando prestano fondi sono “muscolari”. Lo sostiene un nuovo studio realizzato sotto il coordinamento AidData, un laboratorio di ricerca e innovazione del College of William & Mary.

Secondo questa ricerca, le banche prestatrici cinesi nei contratti impongono clausole per farsi considerare “creditori preferenziali” in modo da ottenere la restituzione del debito preventivamente rispetto a qualsiasi altro creditore.

Spesso, inoltre, chiedono ai debitori anche una garanzia informale, facendo aprire conti con depositi contanti da sequestrare in caso di default, oltre a proibisce ai debitori di ristrutturare il debiti cinesi nel mucchio degli altri creditori.

Assieme ad AidData allo studio hanno collaborato anche il Center for Global Development, il Kiel Institute for the World Economy e il Peterson Institute for International Economics.

Sono stati esaminati 100 contratti con 24 paesi, molti dei quali partecipanti all’Iniziativa Belt and Road per la nuova Via della Seta. Si tratta di documenti di difficile reperimento che sono stati raccolti da AidData in 36 mesi di lavoro presso sistemi di gestione del debito, registri ufficiali e siti internet dei parlamenti di 200 paesi debitori.

I ricercatori hanno poi confrontato i contratti cinesi con 142 contratti pubblicati con altri prestatori e hanno rilevarto diverse clausole inusuali in quelli cinesi. Per esempio, clausole di confidenzialità che vietano ai debitori di rivelarne i termini, se non addirittura l’esistenza stessa. Questo sebbene i debitori siano stati, che dovrebbero quindi rendere conto ai propri contribuenti.

Inoltre i contratti contengono clausole che collocano le banche di stato cinesi come creditrici privilegiate, i cui prestiti devono essere ripagati prioritariamente. Circa un terzo dei contratti a cui AidData ha avuto accesso richiedono che i paesi debitori aprano conti nelle banche come deposito di garanzia. Questo mette i prestatori cinesi in una posizione di privilegio rispetto ad altri creditori, potendo semplicemente sequestrare i conti in caso in default.

Inoltre i contratti danno alle banche di stato cinesi ampio margine per poter cancellare i prestiti o chiedere il rientro se sono in disaccordo con le politiche messe in atto dal debitore. Per esempio, la Banca di sviluppo cinese considera la rottura delle relazioni diplomatiche tra il paese debitore e la Cina come un caso di default.

“La gran parte dei contatti di prestito cinesi contengono la clausola ‘No Club di Parigi’, clausola questa che proibisce ai paesi debitori di ristrutturare il debito su termini paritarsi e in coordinamento con gli altri creditori”, dice Sebastian Horn, economista presso l’Istituto Kiel per l’Economia mondiale. Pechino così si assicura, secondo i ricercatori, la possibilità di decidere a sua discrezione se, quando e come accordare un alleggerimento del debito.

“La Cina ha assunto un tono collaborativo sulla questione del debito nel G20, ma alcune delle cllausole di questi contratti sono chiaramente in contrasto con gli obiettivi della Cornice comune sul debito che i ministri dei G20 hanno concordato sei mesi fa”, ha affermato ancora Scott Morris del Center for Global Development.

Tra i paesi i cui contratti di debito sono stati analizzati ce ne sono diversi dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina. Ci sono anche alcuni paesi dell’Europa orientale, in particolare Serbia e Montenegro.