La crisi ha fatto “perdere” quasi mezzo miliardo di posti (Ilo-Onu)

In termini di ore lavorate in meno nel secondo trimestre

SET 23, 2020 -

Roma, 23 set. (askanews) – La crisi pandemica ha causato una perdita equivalente a quasi mezzo miliardo di posti di lavoro nel secondo trimestre, in termini di ore lavorative mancate. Continuano a peggiorare le stime dell’Ilo, l’Organizzazione dell’Onu sul Lavoro, riguardo all’impatto della crisi Covid nel mondo. E “le perdite devastanti sulle ore lavorate – afferma l’ente di nell’ultimo aggiornamento delle sue stime – hanno causato una massiccia perdita di reddito da lavoro”.

La sesta edizione di questo “Ilo Monitor: Covid-19 and the world of work” segna stime “considerevolmente più ampie”, rispetto ai dati di giugno sugli effetti della pandemia, rileva l’Ilo con un comunicato. Adesso si stima che nel secondo trimestre siano state perse ore di lavoro equivalenti a 495 milioni di posti a tempo pieno, con un meno 17,3% rispetto allo stesso periodo di un anno prima.

Lo scorso giugno, ricorda l’Ilo, si stimavano perdite equivalenti a 400 milioni di posti nel secondo trimestre (prendendo a riferimento una settimana di 48 ore lavorative). Sul terzo trimestre sono attese perdite equivalenti a 345 milioni di posti a tempo pieno. E le prospettive sul quarto trimestre sono a loro volta peggiorate: in questo caso le ore perse attese equivalgono a 245 milioni di posti, con un meno 8,6% su base annua.

“Dobbiamo raddoppiare gli sforzi contro il virus – ha affermato il direttore generale dell’Ilo, Guy Ryder – e allo stesso modo dobbiamo agire rapidamente per superare le sue ricadute su economia, società e occupazione”. Secondo l’ente dell’Onu, uno dei motivi degli aggravamenti delle stime è che i lavoratori “informali” dei Paesi emergenti sono stati colpiti in maniera molto più netta che in crisi passate.

Peraltro, in generale il calo dell’occupazione è molto più da collegare alla caduta in inattività delle persone che alla disoccupazione (che implica il proseguimento della ricerca attiva di lavoro, a differenza dell’inattività). E quest’ultimo aspetto “ha implcazioni rilevanti di policy”, avverte ‘Ilo.