Biennale Teatro, Yana Ross davanti agli uomini schifosi di DFW

Uno spettacolo lucido, un'esplosione controllata, ma con empatia

GIU 28, 2022 -

Biennale Venezia, 28 giu. (askanews) – Gli attori parlano in tedesco, una lingua che all’inizio sembra essere lontana dalla voce di David Foster Wallace. E’ forse la questione del modo in cui suonano le parole, forse, oppure è solo un’interpretazione, una forma di riferimento a un immaginario dell’orrore che da quella lingua è passato, ma ci sono passati anche Kafka, Musil, Sebald, a dimostrazione di come ogni cosa sia sempre più complicata di quanto a volte ci venga presentata. Nicola Lagioia ha detto che le “Brevi interviste con uomini schifosi” sono il libro in cui Wallace si era spinto più lontano, in una bibliografia che della lontananza aveva fatto una sorta di centro di gravità non-permanente. La trasposizione teatrale della regista americana di origini Lettoni Yana Ross di “Brief Interviews with Hideous Men”, presentata e accolta da lunghi applausi alla Biennale Teatro di Venezia, in un certo senso ha esasperato la lontananza – con la lingua, con la durezza di certi personaggi, con l’insistere sulle parti più intollerabili del libro – ma in un altro senso l’ha abbattuta, questa distanza, scegliendo un’ambientazione pop, mettendo i colori e le canzoni che tanto fanno pensare anche a un romanzo-mondo come “L’Arcobaleno della Gravità” di Thomas Pynchon (e il tedesco, in questo libro, ha un potere terribile, quello della colpa incancellabile del genocidio del popolo Herero, per dirne un’altra). Ma cosa vediamo nello spettacolo di Ross, cosa sentiamo dentro lo spazio scenico-narrativo della rappresentazione? Vediamo il paesaggio psicologico americano andare in pezzi, vediamo uomini con capelli da cow-boy che sono raffigurazioni esatte dell’orrore; vediamo due pornoattori professionisti che fanno sesso (glaciale, come tutte le nudità dello spettacolo) in una stanza dalle pareti di vetro mentre il pubblico entra a rendere posto nel Teatro alle Tese; vediamo una scenografia perfetta e abbacinante come uno scatto di William Eggleston; vediamo frammenti di uno dei libri più potenti di uno scrittore globale prendere una forma diversa, e questo, oltre che straniante, ha anche qualcosa di liberatorio, qualcosa che ha a che fare con la sensazione di “lasciare andare”, anche il modo in cui si legge un libro importante. Le due ore dello spettacolo vivono su una tensione sottile, ma costante, perché, come nei racconti, in ogni istante tutto può saltare in aria: la follia repressa, la misogina strisciante, o banalmente il puro orrore, è lì pronto a esplodere di continuo. Poi non succedeva o, meglio, succedeva, ma sotto forma di qualcosa che possiamo definire “esplosione controllata”, insomma senza spandere sangue sulla platea, almeno non in modo letterale. I mostri con cui abbiamo a che fare qui non sono il Patrick Bateman di “American Psycho” di Bret Easton Ellis, ma gli uomini di DFW riletti da Yana Ross sono altrettanto, se non di più, terrorizzanti. La messa in scena si muove in larga parte sul filo della lama del rasoio di Wallace, quello che non lascia scampo (la bottiglia di Jack Daniel’s, il ragionamento sull’Olocausto, i distinguo che giustificano ogni cosa), ed è potente, intenso, contemporaneo come non molto altro della sua opera oggi riesce a essere, fa paura in innumerevoli passaggi perché ammicca alla cultura pop, perché fa da specchio ad ambizioni e perfino a desideri che sono nostri, perché non riusciamo a staccargli gli occhi di dosso. E’ un gran pezzo di teatro, che finisce tragicamente con la distruzione anche delle dimensioni familiari e con una scena memorabile e ripugnante di decrepiti anziani che avanzano, quasi fossero l’astronauta Bowman alla fine di “2001 Odissea nello spazio”, verso il pubblico sibilando ancora una volta, oltre ai gas corporei, anche l’offesa definitiva: “Stupida puttana”. Vediamo lo sfacelo di quei corpi, forse possiamo capire anche il loro abisso, ma questo sentimento si confonde e si perde davanti alla violenza dei gesti e delle parole. E’ qui, nella banalità del male, nell’oltraggio reiterato e nell’indifferenza con cui certe espressioni si sono incastonate nel modo di pensare, che David Wallace e Yana Ross denunciano un mondo, una società, un sistema. Lo schifo, alla fine, sta tutto lì. E il teatro non lo redime, anche se il rito finale degli applausi in qualche modo fa da catarsi, ripristina l’ordine immaginario del nostro mondo: un festival internazionale di teatro, una delle città più belle del mondo, persone inviate lì per fare il critico teatrale, in mezzo a registi e intellettuali. Ma il punto, o per lo meno il dubbio che può assalirci dopo lo spettacolo, magari camminando per le strade notturne di Venezia, è che a essere “vere” siano le cose che abbiamo visto sulla scena, più che tutto ciò che viviamo intorno, prima e dopo. Come se di fronte a tanto orrore la nostra “realtà” si rivelasse incerta, se non addirittura falsa. Mentre il teatro, quel teatro era reale, come reale era il Vietnam del colonnello Kurtz in “Apocalypse Now”, anche se stiamo tecnicamente parlando solo di un film. “Quello di Wallace – ha scritto Yana Ross nel catalogo della Biennale Teatro – è uno sguardo empatico: anche nelle condizioni di vita più estreme che descrive cerca di mettersi nei panni dell’altra persona”. Ma la cosa più importante, e lo si vede anche a teatro, è che questa empatia è rivolta anche verso la “mascolinità tossica” degli uomini schifosi, ma è un’empatia pura, fredda, che non lascia spazio a sconti o distinguo, salvo quello, decisivo in tutta l’opera di DFW, della compromissione dello stesso autore. Gli uomini schifosi non sono solo gli altri, gli uomini schifosi sono i primo luogo uomini, siamo noi, in una certa misura. E possiamo solo guardarli/guardarci sotto una luce chirurgica come quella della scrittura di Wallace e del teatro di Ross. Da lettore delle Brevi interviste è poi possibile accorgersi che nella trasposizione teatrale mancano delle parti, ci sono racconti come “Pensa” oppure il famosissimo “Per sempre lassù”, che hanno dentro angosce diverse (più difficili per tanti aspetti), che danno ristoro dalla costante camminata sul bordo slabbrato di un abisso d’incubo. Ma era complesso trovare spazio per loro nella messa in scena, anche se è possibile continuare a pensare che sarebbe stata una sfida interessante per Yana Ross. Però qui stiamo parlando di una scrittura drammaturgica e di uno spettacolo teatrale che, giustamente, ha scelto il proprio modo di stare accanto al libro, perché adesso l’autore è Yana Ross, e non David Wallace. Anche questo è importante ricordarlo. (Leonardo Merlini)