Martedì 21 dicembre 2021 - 09:07
Un (altro) libro per il 2021: Mark Fisher tra musica e filosofia
"Scegli le tue armi" (minimum fax), nuova raccolta da K-punk

“Scritti sulla musica”, si diceva, e la musica resta probabilmente il terreno che lo scrittore ha frequentato e amato di più. Ma la cosa che colpisce da subito è che i brani, gli album o i cantanti sono elementi di un discorso che per sua stessa natura spazia continuamente nei territori della politica, delle immagini in movimento, dell’arte, della filosofia e della letteratura. E’ come se Mark Fisher non potesse fare a meno di questo sguardo globale, che corrispondeva anche al “luogo” dei suoi post, quella Rete che era al tempo stesso spazio di opportunità e luogo simbolo di nuove forme di pressione e controllo. Solo così, senza porsi limiti di ragionamento e confrontandosi con libertà con l’idea di cultura, si costruiva la radicalità delle sue pagine migliori, alimentata da un gusto per la scrittura visionaria, talvolta al limite del cut up alla William Burroughs. Il che permettev a lui, come alla cantante Roìsìn Murphy, di “continuare a giocare, anche se con assoluta serietà”.
(Qualcuno qui potrebbe obiettare che proprio la troppa serietà di fondo potrebbe essere stata la rovina di Mark Fisher, ed è un’osservazione che tocca corde vere, dolorose. D’altra parte c’è nei suoi testi una ricerca di intransigenza che però appare venata di una certa stanchezza, che è stanchezza postmoderna e nel postmoderno lo spazio per una serietà eccessiva è molto ristretto. Restano le drammatiche e devastanti “infinite facezie”, per dirlo con David Foster Wallace, che possono comunque essere insostenibili, ma sempre nell’ambito della, seppur tragica, consapevolezza dell’inevitabilità della facezia stessa).
Per entrare nel mondo di K-punk e in particolare dei pezzi presenti in questa raccolta non è necessario essere esperti di musica e sapere chi siano, per esempio Mark Stewart o i The Fall, perché poi in fondo quello di cui scrive ossessivamente Fisher è la “teoria” e accanto agli eroi della scena musicale (come un indimenticabile Bryan Ferry che si muove da finto romantico in uno “spazio interiore-psicologico ormai completamente colonizzato da ciò che Ballard chiama il paesaggio mediatico”) si incontrano nelle sue pagine filosofi come Braudillard, Habermas, Donna Haraway o Slavoj Zizek, scrittori come T.S. Eliot, Lovecraft o Philip Dick, riletture di Orwell, continui rimandi a Duchamp e una costante, durissima (che a volte nei testi politici veri e propri rischia di scivolare in qualche passaggio stucchevole, ma non qui, dove tecnicamente si sta parlando di musica) critica del blairismo della sinistra britannica. E di questa teoria, che somiglia per atteggiamento alla fiction di Ballard e Dick, per l’appunto, oggi si continua a sentire un disperato bisogno, perché offre degli strumenti (le “armi” del titolo, se volete) per decrittare il nostro tempo. La vita in un Paese occidentale sul pianeta Terra il 21 dicembre del 2021, per esempio o per essere ancora più circostanziati.
Chiudiamo con una citazione su Grace Jones, che per Mark Fisher esiste solo sotto forma di “ipercorpo astratto, la macchina-rasoio tritatutto che fa a pezzi se stessa di continuo”, ma che “è immanente, nel senso che genera da sé la propria teoria”. Forse ci servirà del tempo per capirla fino in fondo, una frase come questa, ma la sensazione è che contenga moltissime informazioni sulla natura delle macro strutture, potremmo addirittura scomodare il concetto di “iperoggetti” di Timothy Morton, che governano il nostro immaginario e soprattutto la nostra vita ai tempi del digitale imperante. Ma magari era solo Grace Jones.
(Leonardo Merlini)