La cupa e moderna tragedia di Macbeth inaugura stagione della Scala

Livermore: "Privilegiati anche i telespettatori a casa"

NOV 29, 2021 -

Scala Milano, 29 nov. (askanews) – Dopo il galà esclusivamente televisivo dell’anno scorso causa pandemia, la Prima della Scala di Milano torna “a riveder le stelle” in teatro davanti al suo pubblico in carne e ossa. Per il settantesimo 7 dicembre scaligero (fu infatti nel 1951 che il grande direttore d’orchestra Victor de Sabata decise di anticipare al giorno di Sant’Ambrogio la serata inaugurale del 26 dicembre) andrà in scena Macbeth che chiude la “trilogia giovanile” di Giuseppe Verdi voluta dal direttore musicale Riccardo Chailly, che era iniziata nel 2015 con Giovanna d’Arco e proseguita nel 2018 con Attila. “E’ un una scelta che sottolinea non solo il valore dell’opera – ha spiegato Chailly – ma la circostanza di questo momento di grandissima difficoltà e incertezza che stiamo vivendo”. “E’ la quarta volta che Macbeth inaugura la stagione scaligera, accade una volta ogni 22-23 anni” ha ricordato il direttore d’orchestra (alla sua ottava inaugurazione di Stagione), spiegando che si tratta “della nuova edizione critica pubblicata nel 2005 da Casa Ricordi, che ci ha obbligato a ristudiare tutto e a mettere in discussione delle consuetudini consolidate”. In quella che sarà allestita martedì prossimo davanti al Capo dello Stato, Sergio Mattarella, alla presidente del Senato, Elisabetta Casellati, e al ministro della Cultura, Dario Franceschini (a cui potrebbero aggiungersi altri ospiti importanti, a partire dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia) ci sarà la scena della morte del nobile scozzese protagonista (“Mal per me che m’affidai”) e i ballabili, così come previsto dalla versione originale del 1847. “Il quarto atto rivela come finisce chi governa in modo dittatoriale e tirannico, chi gestisce il potere per guadagno personale” ha spiegato in proposito il regista Davide Livermore, sottolineando che “raramente c’è un’opera che parla al presente come questa, così in grado di scandagliare in profondità l’animo umano” ma chiarendo che “noi non facciamo né cronaca, né telegiornale, noi facciamo arte e parliamo attraverso l’arte”. “Il contemporaneo che metteremo in scena è un incubo, una realtà onirica distopica in cui la nostra contemporaneità si autogenera in un modo diverso. Raccontiamo l’orrore attraverso un altrove molto vicino” ha proseguito Livermore che ha fatto riferimento al thriller fantascientifico Inception, scritto e diretto nel 2010 da Christopher Nolan. “Inutile cercare di capire dove si svolge l’opera, non è New York, né Singapore né tantomeno Milano, abbiamo ricostruito un mondo attraverso la nostra solita maniera anche per venire incontro alle esigenze televisive” ha continuato il 55enne regista torinese alla sua quarta Prima scaligera, ricordando il successo crescente ottenuto negli ultimi anni dalla diretta su Rai 1 e sottolineando che “per la prima volta i privilegiati sono anche i telespettatori a casa”. “Opere come queste si devono fare quando ci sono gli artisti giusti e oggi possiamo contare su una generazione eccezionale: siamo molto fortunati perché talvolta si vogliono fare delle opere ma non ci sono gli interpreti adatti” ha detto il sovrintendente Dominique Meyer, cui ha fatto eco Chailly che ha definito Anna Netrebko (Lady Macbeth), Luca Salsi (Macbeth), Francesco Meli (Macduff) e Ildar Abdrazakov (Banco) “un poker d’assi, un gruppo straordinario con cui in questi anni ho sempre lavorato benissimo”. Al suo quinto Sant’Ambrogio al Piermarini (come Meli, gli altri sono al quarto), l’apprezzata soprano di origine russa ha parlato di questo Macbeth come “una delle più complesse produzioni a cui ho partecipato, inedito e impegnativo” sia dal punto di vista dello sforzo vocale che da quello della recitazione, tra i riferimenti e le “inquadrature” cinematografiche, la coreografia di Daniel Ezralow (al suo debutto alla Scala), le immagini di D-Wok e le scene (digitali e non) di Giò Forma che si alzano e si abbassano, che Chailly ha definito “iperboliche”. Per allestire la decima opera di Verdi, tratta dalla tragedia di William Shakespeare, viene abbandonato il filtro della rappresentazione in costume, e si offre una città Novecentesca che richiama tanto le architetture di Frank Lloyd Wright quanto quelle di Piero Portaluppi, in cui si staglia la sfarzosa ma fragile opulenza del potere, tra collezioni d’arte, statue e labirinti che sono metafora dei tortuosi percorsi della mente dei protagonisti. La Scala ha spiegato che i richiami a Milano, non sono nell’architettura ma anche nella moda, dove Gianluca Falaschi “ripercorre gusti e tendenze della creatività milanese degli ultimi decenni disegnando creazioni eleganti e lussuose per la corte in netto contrasto con la monocromia della folla, vestita di abiti diversi per foggia e tonalità su una stessa tinta di base”. Appuntamento per il 7 dicembre in teatro o su Rai Uno con Milly Carlucci e Bruno Vespa per la diretta prodotta da Rai Cultura.