“Schiava di Roma?”: un libro per capire il declino dell’Urbe

Il volume opera di un gruppo di studiosi della Sapienza

OTT 11, 2021 -

Libri Roma, 11 ott. (askanews) – Nell’anno in cui celebra i 150 anni dalla sua proclamazione a capitale d’Italia (legge 3 febbraio 1871, n. 33), e i suoi cittadini sono chiamati a eleggere il nuovo sindaco, Roma offre di sé una immagine tutt’altro che vincente. Basti ricordare che proprio alla vigilia delle elezioni comunali, un sondaggio del popolare magazine britannico di viaggi “Time Out” ha attribuito all’Urbe il poco invidiabile primato città più sporca del mondo davanti a Bangkok e New York. Aiuta dunque a comprendere le ragioni dell’attuale declino un volume appena apparso in libreria, opera di un gruppo di studiosi della Sapienza (“Schiava di Roma? I 150 anni di una capitale”, Castelvecchi), che offre attraverso un approccio interdisciplinare spunti di riflessione sul passato e sul presente della città, utili a inquadrare il problema del suo futuro. Come scrive nell’introduzione lo storico Augusto D’Angelo, curatore del libro, “Roma è una città confusa, delusa, a tratti rabbiosa, sempre sull’orlo di una definitiva sconfitta. È una città amata da molti, ma ormai senza un’identità definita; sembra in cerca di un’anima, di un’idea, di una vocazione che possa condurla al riscatto”. “Di Roma – continua D’Angelo – sono state proposte negli ultimi centocinquant’anni diverse idee a partire da quella della ‘Città della Scienza’ da contrapporre alla ‘Roma dei papi’, secondo la visione di Quintino Sella. Si è poi passati alla ‘capitale imperiale’ in cui sventramenti e ridefinizione degli spazi pubblici accompagnarono l’evoluzione del regime fascista, creando ulteriori nuove periferie urbane. Roma è stata poi riletta nella chiave del passaggio dalla dittatura alla Resistenza con la deportazione degli ebrei e la strage delle Fosse Ardeatine quali momenti qualificanti l’epilogo delle scelte del regime fascista: un’immagine che poi si impone nel cinema con Roma città aperta. Ma in pochi anni, nel secondo dopoguerra, Roma riesce a trasformarsi da capitale bombardata di una potenza sconfitta, a capitale che vivifica i processi di integrazione europea coi Trattati di Roma del 1957 per la costituzione della Cee e dell’Euratom, e che sa porsi sotto i riflettori internazionali come ospite delle XVII Olimpiadi del 1960, mostrandosi quale capitale moderna e al passo con lo sviluppo dell’Occidente. E, infine, la città gode della celebrazione del Concilio Vaticano II, che a partire da 1962 e per quattro anni convoca a Roma, nella stagione autunnale, circa 2.500 vescovi cattolici provenienti da tutto il mondo, e delegazioni di molte confessioni cristiane da vari scenari geopolitici. Si tratta di eventi che attraggono giornalisti e televisioni e fanno rimbalzare nel mondo immagini di una Roma erede di grandi tradizioni e capace di grandi progetti”. “Dopo quella stagione – osserva ancora D’Angelo – Roma e le sue classi dirigenti hanno mostrato una ridotta capacità nel mantenere quel profilo alto di proiezione nazionale e internazionale, nel coltivare progetti tali da favorire l’affermazione di nuove idee sulla capitale. La lunga stagione di crisi economica avviatasi già a partire dalla fine degli anni Sessanta, aggravatasi progressivamente nei Settanta, ha contribuito a segnare anche la vita della città; e il clima di violenza e terrorismo politico che ne ha insanguinato le strade ha fatto abbassare lo sguardo da prospettive future. Le “estati romane” di Renato Nicolini hanno avuto il merito di contribuire a far vincere la paura, restituendo agli abitanti il coraggio di tornare per strada, non restando chiusi nelle case per timore della violenza. Ma quell’iniziativa funzionale a superare una stagione di difficoltà non è stata in grado di assumere la responsabilità di delineare un progetto per il futuro della città. Forse l’ultimo grande tentativo di riproporsi a livello internazionale per Roma è stato legato al grande Giubileo del 2000. Ma pur nella rilevanza dell’esperienza di carattere religioso, quella stagione ha lasciato esigue tracce nella struttura della città che determina la vita quotidiana dei romani”.