L’impronta di Roberto Calasso: i libri residuo e metro del mondo

Lo scrittore ed editore di Adelphi è morto a 80 anni a Milano

LUG 29, 2021 -

Cultura Milano, 29 lug. (askanews) – “Apollo è stato il primo invasore e usurpatore di un sapere che non gli apparteneva, un sapere liquido, fluido al quale il dio imporrà il suo metro”. E’ una tipica frase che si può trovare nei libri di Roberto Calasso, in questo caso un piccolo e fulminante saggio intitolato “La follia che viene dalle ninfe”. Ma è anche un’immagine che, oggi che l’intellettuale che ha guidato la casa editrice Adelphi per 50 anni e che ha scritto una colossale “opera in corso” a partire dal 1983, è morto a Milano a 80 anni, oggi quell’immagine dell’imposizione di un metro a un sapere fluido potremmo sceglierla per sintetizzare ciò che Calasso stesso ha fatto come editore e come autore. Partendo proprio da quella “Nube della non conoscenza” che ritorna sia nel catalogo Adelphi sia nelle sue pagine, e che ha preso la forma di un pensiero articolato, di una narrazione policentrica, di collane che continuano a fare la storia editoriale dell’Italia all’ombra di quello che in molti, senza troppa fantasia, ma con una certa esattezza, abbiamo chiamato spesso l’ultimo editore puro del nostro Paese. Sopravvissuto, anzi restio, alle grandi fusioni; ostinatamente legato a un’idea irraggiungibile, come le ninfe, come l’Oriente, ma capace, per citare l’amato Aby Warburg, di creare il “gesto vivo” della cultura. Il riferimento mitologico è inevitabile nella bibliografia di Calasso, che siano indù o greci o perfino postmoderni, gli dei sono ovunque. Tanto presenti da farci ritenere che qualcosa di quella divinità si fosse infusa anche in lui, il personaggio leggendario che nel suo studio trovava porte per altre dimensioni. Per un giornalista comune non era facile avvicinare Calasso per un’intervista a Milano, ma, per una serie di ragioni che ancora non mi si sono chiarite, alla Fiera di Francoforte tutto diventava possibile, tanto da sentirsi dire, dopo avere rifiutato con un certo sdegno ogni riferimento alla “politica culturale”, una frase come, “ma perché non parliamo di libri?”. E lì sembrava, quasi la Buchmesse diventasse un cielo del Tiepolo, che una luce divina fosse scesa accanto, nello stand sempre uguale della Adelphi. E alla luce divina, talvolta, capita di attribuire anche il carattere di immortalità. Fino a prova contraria, per lo meno. Calasso era colui che, raccogliendo i propri risvolti di copertina in un unico volume, li definiva “cento lettere a uno sconosciuto”, era l’editore che fin dall’inizio aveva cercato di pubblicare i “libri unici”, quelli che “molto avevano rischiato di non diventare mai libri”, perché “l’opera perfetta è quella che non lascia tracce”. E se in questi brevissimi accenni alla sua “impronta” di editore vedete, per esempio, la figura in controluce di un Franz Kafka, o quella di un Talleyrand, ecco, la risposta è sì, ci sono, esistono come prova di una possibilità dell’esistenza stessa del mondo e della sua narrazione: letteraria, storica, politica. “Non c’è sacrificio senza residuo – scriveva Calasso – e il mondo stesso è un residuo. Perciò occorre che i libri esistano. Ma occorre anche ricordare che, se il sacrificio fosse riuscito a non lasciare un residuo, i libri non ci sarebbero mai stati”. E insieme ai libri, ovviamente, non ci saremmo stati noi. Nelle ultime settimane, fatto abbastanza inconsueto, sono usciti a distanza ravvicinata due libri di Roberto Calasso, “Allucinazioni americane”, sul cinema di Hitchcock, ma anche su Kafka e la sua America, e “Bobi”, dedicato a Roberto Balzen, che con lui fondò la Adelphi. Un’urgenza di pubblicazione che, con il senno della cronaca del poi, fa pensare che non ci fosse più tempo da perdere. Ma forse è anche solo la testimonianza tangibile, sotto forma di libri (quindi dell’Universo sotto forma di Biblioteca, come ci insegna Borges), di una passione totale e assoluta. “Come altrettanti dolmen in un vasto paesaggio selvatico e silenzioso”. Nell’impossibilità di circoscrivere e di riassumere in maniera anche solo decente la personalità di Roberto Calasso, proviamo a chiudere arrivando all’oggi, al tempo del digitale, di cui ha scritto in uno dei suoi più importanti testi recenti: “L’innominabile attuale”, che parla di terrorismo e di vita digitale, all’insegna della costante e irrisolvibile forma gordiana del Presente. “La trasposizione dell’universo in forma digitale e la sua disponibilità al contatto con le dita – scriveva Calasso – sono un fatto senza precedenti nella vita di Homo Sapiens e toccano le regioni più remote e più oscure della sua vita mentale”. Preciso, chiarissimo. Eppure quella strana nebbia che attraversa tutto il mondo della scrittura dell’editore, quella nebbia che è generatrice di mitologie e di luce, seppure imperfetta, rifratta, quella strana nebbia arriva anche qui, ricordandoci che proprio in quelle regioni remote e oscure sono nati i capolavori della filosofia Vedica come di Roberto Bolaño, i saggi matematici di Kurt Gödel o le lettere di Marina Cvetaeva. Fino ad arrivare all’ombra wittgensteiniana che seguiva sempre Jacques Austerlitz nella sua ricerca di ricostruzione impossibile del mondo nel romanzo di W.G. Sebald. Ma adesso sembra sia l’ora di un’altra passeggiata. Magari capiterà di incrociare anche Robert Walser. (E, come ha fatto Chiara Valerio su Twitter, la colonna sonora per questo giorno di saluto potrebbe essere “Starman” di David Bowie. Non sarebbe male) (Leonardo Merlini)