Milano senza un museo d’arte contemporanea: così scena più viva

Una riflessione partendo dal rinnovato Museo del Novecento

DIC 22, 2020 -

Milano, 22 dic. (askanews) – La pubblicazione del bando per il concorso internazionale per l’ampliamento del Museo del Novecento di Milano è anche l’occasione, data la pianificata apertura dei nuovi spazi anche alle opere degli ultimi decenni, per riflettere sulla relazione con il contemporaneo, che in qualche modo è uno dei punti intorno ai quali è stata concepita l’operazione del Secondo Arengario. Il sindaco Sala ha parlato della cultura come “elemento di traino per il cambiamento della società milanese” e spesso proprio l’arte contemporanea, nella sua dimensione talvolta inafferrabile e misteriosa, ha anticipato, seppur in forma astratta, come modalità di pensiero soprattutto, le mutazioni che poi hanno raggiunto la massa. Pensiamo all’ambientalismo di Joseph Beuys, per esempio, o, andando ancora più indietro, al ragionamento sul consumismo e la riproducibilità dei Brillo Box di Andy Warhol. E Massimiliano Gioni, uno degli alfieri della ricerca sul contemporaneo dal New Museum di New York e dalla Fondazione Nicola Trussardi di Milano, ha parlato, collegato dall’alba americana con il Museo del Novecento, dei musei come dei luoghi “dove si fa esperienza dell’ignoto, però in modo controllato”. L’ignoto, in qualche modo, è proprio il contemporaneo, nelle sue frange più radicali e vive, che dunque arriverà nel salotto buono di Milano, quello più ufficiale, Piazza del Duomo. Il punto è capire in che modo.

“Non diventiamo il museo di arte contemporanea della città – ha spiegato ad askanews il direttore Cultura del Comune di Milano, Marco Minoja -; il contemporaneo è tante idee diverse e il Museo del Novecento può e vuole dialogare con esse. Riceviamo attraverso concorsi, acquisti e donazioni molte opere contemporanee, con le quali vogliamo che il museo si confronti. Ma non saremo il museo di arte contemporanea di Milano”. Minoja immagina quindi la relazione come “un dialogo tra l’arte del presente e le sue radici”, dove però a essere l’elemento costitutivo del progetto museale saranno soprattutto le radici. Come, giustamente, sta scritto anche nel suo nome.

Ricetta che, a Milano – dove un museo di arte contemporanea era stato progettato, agli albori di CityLife, e avrebbe dovuto essere firmato nientemeno che da una archistar come Daniel Libeskind: non se ne è fatto nulla, ma restano degli affascinanti rendering del progetto – ricetta si diceva, quella del non avere un museo specifico per l’arte più recente, che nel capoluogo lombardo sembra comunque funzionare, grazie alla presenza, e alla sinergia con le istituzioni, di diverse fondazioni private che invece sul contemporaneo hanno la forza di indicare la strada: Prada, Pirelli HangarBicocca, la già citata Trussardi, ma anche la Triennale, che a modo suo sta giocando questa partita. Certo, c’è il PAC, che però ha una natura di luogo di ricerca e di progetto, non di musealità tradizionale, e anche questo è un elemento che dà dinamismo alla scena. E dunque forse in questa Milano, che vive anche di molte gallerie che stanno provando, anche in tempo di pandemia, a non smettere di crescere e fare ricerca, non c’è bisogno di un museo di arte contemporanea, ma, questo sì, c’è bisogno che la città e la sua cultura guardino e attingano e sentano le suggestioni, anche radicali, degli artisti del presente.

Pertanto anche il Museo del Novecento, ci ha assicurato Minoja, aprirà le porte all’arte performativa, alle pratiche più varie e perfino a ospitare delle icone del contemporaneo. Ma mantenendo una postura dialogica e non di definizione, per quanto provvisoria, che invece è comunque insita nei progetti tradizionalmente museali. “Il contemporaneo – ha chiosato il direttore Cultura del Comune – non sarà un elemento costituivo, ma di continuo confronto”. E dunque, per tornare alle metafore di Massimiliano Gioni, ma anche all’auspicio di Sala, la “radicalità estrema” del contemporaneo continuerà a essere diffusa, liquida, per citare Baumann, pervasiva e, crediamo, ancora più efficace e viva. Così da poter essere uno degli elementi che contribuiscono, in profondità, al cambiamento sociale.

(di Leonardo Merlini)