Pensare l’arte contemporanea nella Giornata del Contemporaneo

Una possibile riflessione tra Teoria dei quanti e nuovo umanesimo

DIC 5, 2020 -

Milano, 5 dic. (askanews) – “L’unica cosa sensata era tagliare la corda”, scrive a un certo punto Enrique Vila-Matas nel suo libro dedicato a Documenta, quello che, insieme alla Biennale di Venezia è l’evento più importante nel mondo dell’arte contemporanea. Tagliare la corda di fronte ai circoli viziosi imposti dalle strutture e dalle sovrastrutture; tagliare la corda dai ruoli e dalle definizioni. Anche da certe posture “artistiche”, certo. Ma oggi, 5 dicembre 2020, Giornata del Contemporaneo, possiamo provare a riconsiderare la frase dello scrittore catalano da un altro punto di vista, ossia come una sorta di pratica di consapevolezza, di enunciato morale, di massima anti retorica, che per molti versi è la qualità migliore proprio dell’arte contemporanea. L’aforisma del filosofo rumeno Emil Cioran è noto: “Nessuna delle nostre azioni merita la nostra adesione”, e la fuga di Vila-Matas si muove nello stesso solco, quello di una presa di distanza – che diventa inevitabilmente un atto di responsabilità, nel momento in cui la si agisce con consapevolezza – che ha il potere di abbattere il superfluo, di eliminare gran parte delle sovrastrutture, di fare dell’artista in un certo senso un estraneo a se stesso. Proprio per questo allora in grado di cogliere e vivere fino in fondo la celebre definizione di un altro grande filosofo, Giorgio Agamben: essere contemporanei significa tornare a un presente nel quale non siamo mai stati. Una volta tagliata la corda da noi stessi e dall’ambiente che ci ha formato, abbiamo probabilmente la libertà di abbracciare questa forma di altro, che è il presente, e allora provare a essere realmente contemporanei.

Fuggire quindi, ma per restare. Vila-Matas rimane a Kassel, pur continuando nelle sue pratiche di fuga, per così dire, locali. Cioran non smette di agire, pur senza adesione. L’artista sviluppa una pratica che non può non tenere conto del contesto, ma che diventa realmente grande nel momento in cui di questo contesto fa un elemento di opportunità e ne coglie l’inevitabile indeterminazione. Il mondo in cui viviamo, ci piaccia o no, è un mondo quantistico, e, come scrive il professor Carlo Rovelli, “ciò che chiamiamo ‘realtà’ è la vasta rete di entità in interazione, che si manifestano l’una all’altra interagendo, e della quale facciamo parte”. Senza l’interazione non c’è possibilità di esistenza. “Un oggetto che non ha interazioni è come se non ci fosse”. La realtà esiste nel momento in cui ci interagiamo, questo oggi, Giornata del Contemporaneo, diventa un punto chiave per capire molta dell’arte migliore del nostro tempo, che ha assunto su di sé l’impossibilità della definizione totale, ma non per questo ha rinunciato all’ambizione di una totalità relativa. La relatività come pietra angolare. E dunque come possibilità di ricomprendere tutte le “anesattezze”, per citare Deleuze e Guattari, che fanno parte dell’essere umano, le sue imperfezioni e sfocature, perfino gli errori di sistema. E così, attraverso la teoria dei quanti e la filosofia, si può nuovamente ambire alla possibilità di un umanesimo del presente, un umanesimo che sia consapevole dello “sciame digitale” in cui viviamo, teorizzato da Byung-Chul Han, e che ne sfrutta le lanche di opportunità. Dimenticando, ovviamente, il “bello” di Winkelmann, anzi andando completamente a sovvertire lo stesso modo che ha portato a pensare al “bello”, come dimostra anche la classifica dei Power100 di Art Review, che nel 2020 vede al primo posto un movimento come il Black Lives Matter, che sta minando dalle fondamenta il nostro stesso pensarci, per esempio, come occidentali bianchi.

Per questo essere contemporanei oggi significa, come hanno scritto su e-flux Journal, essere consapevoli tanto di ciò che si è perso, quanto di ciò che si è guadagnato. Come avviene in ogni processo di transizione. Ma in questo caso, sempre nel mondo dei quanti, la transizione è continua, i salti sono ininterrotti, ogni momento richiede una sua negoziazione particolare, che genera opere – la ferramenta di Theaster Gates oppure un film di Hito Steyerl o una performance di Anne Imhof – che lasciano un segno proprio nel momento in cui decidono di non farlo, o, meglio, di farlo al di fuori di quel perimetro codificato dell’idea di mostra d’arte ereditata dal XIX secolo. Che resta come forma, e ha una sua importanza, e una sua intensità, ma che è realmente un fatto in grado di incidere nel momento in cui nasce con la consapevolezza del mondo esterno, della propria rilevanza parziale e della necessità, entrando in uno spazio museale, per prima cosa, di provare ad abbatterne le pareti. A partire dalla Giornata del Contemporaneo.

(Leonardo Merlini)