Alessandro Mendini tra ironia e utopia: la verità è il bello

Il designer presenta il libro di Fulvio Irace "Codice Mendini"

MAG 10, 2016 -

Milano, 10 mag. (askanews) – Entrare nell’Atelier Mendini a Milano è un’esperienza della possibilità, una sorta di gioco tra noi, gli oggetti e l’idea di creatività di uno dei più importanti designer italiani. Alessandro Mendini, architetto, artista e scrittore classe 1931, ci accoglie confermando la propria vocazione anticonformista. “Io lavoro spesso di ironia – ci ha detto – nel senso che sono contrario alla retorica e all’accademia e pertanto l’ironia è quella che permette di azzerare anche gli eccessi su me stesso, trasformandoli in una barzelletta ogni tanto”.

L’occasione dell’incontro è la pubblicazione per Electa di un importante saggio di Fulvio Irace, “Codice Mendini”, “ricomposizione visuale di un itinerario mentale”, nel quale, tra le altre cose, si percepisce molto il senso del tempo. “Nel mio lavoro – ha aggiunto Mendini – il tempo ha un senso di labirinto, cioè è un processo di memorie che vanno avanti e indietro, circolano; idee antiche che diventano attuali, che ritornano, e pertanto è tutto un fenomeno di ruminazione della memoria. Io sono molto legato, romanticamente, ai fatti che riguardano la mia vita e da essi attingo molto, pertanto l’attività culturale sulla quale baso poi le mie ricerche è fata di empatie con autori anche molto lontani, magari, i vasi egiziani oppure lo stesso Proust oppure Malevic, naturalmente il Cubismo e i Futuristi. Sono rapporti culturali che vengono a galla di volta in volta sulla base sia di certi progetti che lo provocano, sia di momenti di ricerca”.

Una ricerca che approda, pure attraverso il lato tragico dell’ironia, a una domanda di verità. “La verità – ha proseguito l’architetto – è una specie di flusso sotterraneo, pressoché irraggiungibile, che poi forse è una cosa molto semplice, ossia la ricerca del bello. Io lavoro spesso di utopie, intendendo come utopia il tentativo di lavorare su obiettivi importanti, lontani e quindi irraggiungibili. Se si cercano delle cose lontane, delle grandi parabole, magari si produce qualcosa di interessante più che se si cerca vicino”.

Il volume di Irace – che anche come oggetto in sé appare filologicamente corretto nei confronti di Mendini, autore capace di ridare alle cose quell’aura che secondo Walter Benjamin la riproducibilità aveva sottratto all’arte – prova, in modo discontinuo, a dare un ordine alla materia. “La parola Codice è una parola curiosa e dà adito a tanti atteggiamenti, dal Codice Penale al Codice di Leonardo, comunque è la sistematizzazione di materiali eterogenei e difficili da rendere uniformi”.

Mendini poi ha chiuso con un elogio al lavoro del professore, ma, da irriducibile auto ironista, ha comunque voluto lasciare un appunto a Irace. “Mi ha preso molto sul serio, cosa che, non so se sia del tutto opportuna”.