Covid, ospedali in affanno: 91% a corto di personale, 70% di letti

Survey Fadoi, Federazione medici internisti ospedalieri, su fase post-emergenza

MAG 22, 2022 -

Coronavirus Roma, 22 mag. (askanews) – Omicron o non Omicron il Long Covid continua a perseguitare anche dopo la guarigione un paziente su dieci, ma nel 50% dei casi i servizi dedicati per prestare loro assistenza sono ancora insufficienti. Anche perché la fine dello stato di emergenza non avrà cancellato il virus, ma ridotto la paura nei suoi confronti si e gli assistiti sono tornati a bussare alle porte degli ospedali, mettendo a nudo i problemi di sempre: carenza di personale, lamentata nel 91,7% dei nostri nosocomi, mancanza di posti letto (nel 70,8% dei casi), difficoltà organizzative (75%). Il tutto con le problematiche poste dalla necessità di conciliare i percorsi dei pazienti Covid con quelli non Covid, che comunque distraggono personale e letti, mettendo in difficoltà il 70,8% delle strutture. A fotografare lo stato di affanno della rete ospedaliera italiana nell’era post-emergenza è la Survey lanciata da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, che hanno in carico il 70% dei pazienti Covid, dal 21 al 23 maggio in Congresso a Roma. Una indagine che ha coinvolto tutte le regioni e che non sembra smentire del tutto la teoria, lanciata da alcuni studi, circa l’indebolimento del nostro sistema immunitario generato da lockdown e uso di mascherine, che sarebbe tra le cause delle epatiti pediatriche di origine sconosciuta. A fronte di un 54,2% degli ospedali che non ha rilevato infatti alcuna recrudescenza delle malattie infettive no-Covid rispetto all’era pre-pandemica, il 37,5% ha denunciato un aumento, sia pur lieve. Consistente nell’8,3%% delle strutture. Rispetto all’anno scorso per il 40% dei casi invece l’abrogazione dell’obbligo delle mascherine in molti luoghi anche al chiuso e la cancellazione delle altre restrizioni è probabilmente alla base dell’aumento dei pazienti con malattie infettive ricoverati recentemente negli ospedali. Aumento consistente nel 16% delle strutture, lieve nel 44%. Long Covid: mancano ancora risposte assistenziali adeguate. Tornando al Long Covid nel 58,3% degli ospedali i pazienti che non si liberano dei postumi dopo essersi negativizzati sono tra il 5 e il 10%, nel 29,2% tra il 10 e il 20%, mentre solo il 12,5% è sotto la quota del 5%. In media quindi un paziente su dieci ne è afflitto, ma nel 50% degli ospedali i percorsi dedicati all’assistenza dei pazienti Long Covid non sembrano essere sufficienti rispetto ai bisogni, mentre nel 12,5% delle strutture non è stato attivato alcun servizio, invece presente ed in grado di rispondere efficacemente alla domanda di assistenza nel 37,5% degli ospedali. Il sintomo più diffuso resta quello della stanchezza cronica, accusata dal 91,7% dei pazienti affetti da Long Covid, seguito dalle difficoltà respiratorie (62,5%), la cosiddetta “nebbia cerebrale”, che rende difficile mettere ordine nei pensieri e concentrarsi nelle attività lavorative o di studio e che colpisce il 58,3% dei pazienti. Problemi cardiaci sono rilevati nel 29,2% di loro, mentre il 25% accusa problemi di natura neurologica. L’età media nel 70,8% dei casi è compresa tra i 30 e i 60 anni. Praticamente non rilevati gli under 30, mentre in oltre il 29% dei casi si tratta di over 60, con una quota di circa il 5% di ultraottantenni. In circa l’87% delle strutture con la variante Omicron è rimasta sostanzialmente invariata la percentuale di pazienti Long Covid, mentre nel 12,5% delle strutture si è osservato persino un aumento dei casi. Manfellotto (Fadoi): ripensare l’ospedale del futuro. Tra pazienti che cercano di recuperare interventi e ricoveri saltati nella fase acuta della pandemia, Long Covid e necessità di isolare gli ancora settemila e passa pazienti positivi, gli ospedali sono sempre più con il fiato corto, mostrando le ferite inferte da anni di definanziamento della sanità, con percentuali schiaccianti di strutture che denunciano buchi in pianta organica, mancanza di letti, difficoltà organizzative di vario genere. Con uno zero per cento tondo tondo che dichiara di essere a posto così. “A fronte di questo quadro – afferma Dario Manfellotto, Presidente Fadoi- l’ospedale va ripensato secondo la cosiddetta ‘progressive patient care’, un modello che raggruppa i malati non più per singola specialità medica ma in base al grado di intensità di cura della quale necessitano: intensivo, medio-alto, basso. Un approccio necessariamente multidisciplinare, capace di passare dalla medicina spezzatino – effetto indesiderato dell’iper-specializzazione – a una presa in carico globale, non più della malattia, ma del malato, che spesso di patologie ne ha più di una. E in questo contesto l’esperienza pandemica dimostra quanto sia sbagliata l’idea che i reparti di medicina interna assistano pazienti a bassa intensità di cura, perché al di là dei malati Covid, nei nostri reparti arrivano pazienti molto complessi, che richiedono una risposta multispecialistica, coordinata proprio dai medici internisti ospedalieri”. “Alla missione salute il PNRR destina complessivamente oltre 20 miliardi, 8,6 destinati agli ospedali a alla loro innovazione tecnologica. I soldi ci sono. Però -conclude Manfellotto- il piano finanzia tecnologie e strutture ma non può avere un’anima, e per averla serve una riorganizzazione del SSN, a partire dall’ospedale del futuro, individuando le giuste sinergie con il territorio. Una progettualità, al momento, ancora insoddisfacente”.