Per 53% pazienti telemedicina molto importante ma solo 3% medici la usa

Studio BCG presentato al domusforum

NOV 24, 2021 -

Sanità Milano, 24 nov. (askanews) – Oggi, dopo la drammatica esperienza del Covid, il 53% dei pazienti italiani considera la telemedicina uno strumento molto importante. Non hanno l’aspettativa di ottenere una diagnosi ma ben il 90% degli intervistati la considera uno strumento utile per non perdere tempo e risparmiare denaro, mentre il 58% la considera un modo complementare e sostitutivo delle visite di follow up. Eppure, solo il 3,4% dei medici italiani utilizzano la telemedicina, un dato che ci pone sì al di sopra della media europea del 3,1% ma ancora sotto Paesi come il Regno Unito (3,9%) o la Francia (4,1%). È questo il quadro che emerge dai primi risultati di uno studio “New Paradigm in Healthcare delivery”, realizzato da Boston Consulting Group e presentato oggi in anteprima al domusforum – the future of cities da Lorenzo Positano, managing director & partner (BCG). “Il paziente del futuro sarà curato sempre più vicino alla propria abitazione, lasciando negli ospedali i casi più complessi, ed integrando nuove modalità interazione, con i fornitori di servizi sanitari, sia di persona che digitali” ha dichiarato Positano sul palco di Domus spiegando come saranno i sensori biometrici a dare il via al percorso di cura del paziente rivelandone i potenziali problemi di salute. In un futuro immediato – si parla di 3-5 anni – infatti, si prevede che il triage diventerà digitale indirizzando la persona allo specialista più adeguato che prescriverà le terapie tradizionali (come quella farmacologica) alle quali si affiancheranno una serie di strumenti digitali utilizzati per monitorare svolgimento delle cure e relativi progressi. Di fronte a queste aspettative però, come indicano i numeri, la strada è ancora piuttosto in salita nel nostro Paese. Tra le principali criticità, in grado di rallentare lo sviluppo e/o renderlo rischioso per gli investitori, emerge la complessità normativa, poco chiara e troppo restrittiva, l’inadeguatezza delle infrastrutture digitali nazionali e la collegata difficoltà di far dialogare i dati con i processi clinici e una grande frammentazione del processo. “La pandemia ha riportato alle origini della nostra specie, quando la salvezza individuale e della comunità era più importante e veniva prima della libertà e di qualunque acquisizione storica – ha commentato il direttore editoriale di Domus, Walter Mariotti, che ha condotto il domusforum – Questo dato non poteva passare inosservato e infatti ha scatenato reazioni fortissime di una parte del mondo intellettuale ed economico. Per questo come ci cureremo è una delle domande cruciali del futuro della vita associata e profondamente legata a una visione urbanistica della società”.