Co2, consumi energia, packaging: il percorso green del gelato italiano

Presentato al Food and science festival Rapposto sostenibilità Igi

OTT 5, 2021 -

Sostenibilità Milano, 5 ott. (askanews) – Dietro un cornetto o uno stecco quanta sostenibilità c’è? Cosa vuol dire sostenibilità per l’industria italiana del gelato confezionato? A queste domande prova a rispondere il Rapporto di sostenibilità 2020 dell’Istituto del gelato confezionato presentato in occasione del Food and science festival a Mantova. Un dibattito in cui la voce delle aziende si è unita a quelle istituzionale di Igi e di professori ed esperti del tema in ambito agroalimentare. Un punto di partenza nell’analisi lo forniscono sicuramente i dati del rapporto Igi 2020, presentato da Carlo Alberto Pratesi, ordinario di marketing, innovazione e sostenibilità all’Università Roma Tre: parliamo di 10.112.433 chili di anidride carbonica risparmiati all’ambiente, pari al ritiro dalla circolazione di 5.230 auto, di 7.103.742 chili di rifiuti recuperati e avviati al riciclo o alla valorizzazione energetica o ancora del 100% dell’energia rinnovabile da rete certificata con garanzia di origine. Questi sono chiaramente risultati che riguardano l’impatto ambientale ma come ha ricordato il professor Pratesi nella sua presentazione “la sostenibilità ambientale impatta direttamente con le altre due sostenibilità, economica e sociale” perchè una azienda o un prodotto “non sostenibili non sono cattivi, sono solo prodotti o aziende che probabilmente tra qualche anno non esisteranno più. Sostenibilità vuol dire che stanno facendo di tutto per durare nel tempo”. Accanto ai dati e alla necessaria cornice teorica per inquadrarli, poi ci sono i progetti aziendali, i fronti su cui le aziende, che il gelato confezionato lo producono, sono concretamente impegnate. Parliamo di Unilever, Sammontana e Froneri che insieme rappresentano quasi il 90% della produzione sul mercato. “Come Unilever e come Algida un paio di anni fa abbiamo cominciato fortemente con progetti di eliminazione della plastica perché pensavamo che come leader di mercato dovessimo dare anche un segno – ha detto Giorgio Nicolai, direttore marketing di Unilever – E’ chiaro che la sostenibilità costa, è chiaro che introdurre nuovi concetti di packaging che non siano di plastica costa ma questi sono visti come investimenti che noi dobbiamo fare anche come leader di mercato”. “Uno dei risultati più interessanti che siamo fieri di presentare è quello legato al nostro prodotto icona, il barattolino Sammontana. Nel 2020 ne abbiamo venduti circa 16 milioni di pezzi ed è stato sicuramente un successo ma è stato anche la prima gamma di prodotti su cui abbiamo studiato, analizzato e incominciato a migliorare per ridurne l’impatto ambientale – ha raccontato Carlo Chizzolini, direttore generale industriale e ambiente Sammontana – E che cosa abbiamo fatto? siamo intervenuti su diversi progetti legati alla filiera della produzione e distribuzione di Barattolino e nel giro di un paio di anni siamo riusciti a ridurre l’impatto ambientale in termini di Co2 equivalente di circa il 13% rispetto al totale dell’impatto su tutta la quantità di quello che abbiamo venduto”. Dal canto suo Luca Regano, amministratore delegato di Froneri ha parlato degli investimenti fatti dal 2016 ad oggi, pari a “circa 20 milioni di euro in tecnologia, tecnologie che hanno portato innovazione sui processi produttivi ma anche specificatamente su impianti di cogenerazione. Sono impianti in cui si genera energia che poi viene utilizzata per la produzione, sono ad alta efficienza e ci hanno consentito di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’ambiente per 12.000 tonnellate all’anno. Sul piano del processo produttivo per noi è anche molto importante cosa fare con gli scarti di produzione che sono di quantità non irrilevante. Per questo siamo riusciti a sviluppare processi e collaborazioni per cui ricicliamo il 99,9% degli scarti di produzione”. Questi progetti, nella loro concretezza, rappresentano alcuni degli ambiti di intervento prioritari per una crescita aziendale sostenibile: “Quando si analizza un prodotto alimentare bisogna analizzarne il ciclo di vita e vedere i punti critici lungo la filiera – ha spiegato Massimo Marino, di Perfect food consulting – i punti più critici nell’alimentare sono le materie prime in primis, poi i processi, il packaging, la distribuzione, e ancora il consumo. Sul gelato confezionato possiamo dire che l’attenzione dell’industria è più alta sul governo della catena del freddo, importante per il consumo di energia ed emissione di Co2, e poi il packaging sia perchè è un elemento di comunicazione e poi perchè nella catena del freddo è un elemento importante per garantirla”. Ora è chiaro che c’è ancora della strada da fare per le aziende per “passare dalla teoria ai fatti concreti, sia nella selezione delle azioni, sia in termini di educazione dei consumatori che troppo spesso assumono atteggiamenti guidati da pregiudizi o scarse competenze scientifiche”, ha ammesso Pratesi. Ma siamo comunque davanti a un percorso avviato, come ha sottolineato Antonio Feola, responsabile sostenibilità Unionfood: “Le aziende hanno intrapreso il percorso della sostenibilità da molto tempo da ben prima dell’effetto Greta che poi ha travolto tutta l’Europa. E l’hanno fatto intraprendendo una politica di sostenibilità che passa attraverso la misurazione del loro impatto a livello di stabilimento e la misurazione degli impatti in tutta la filiera. In associazione oltre vent’anni fa avevamo il problema della gestione dei sottoprodotti della lavorazione, le cialde rotte dei gelati. Abbiamo scritto così una linea guida tecnica insieme alle aziende anche dei gelati che facesse in modo che questi sottoprodotti diventassero una risorsa per un altro settore attiguo a quello dei gelati, quello dell’industria dei mangimi. Questo adesso si chiama economia circolare ma le nostre aziende lo facevano vent’anni fa”.