Covid-19, la dose aggiuntiva del vaccino servirà ma non a tutti

L'immunologo Cossarizza spiega chi la potrebbe fare subito e chi invece potrebbe non averne bisogno

SET 14, 2021 -

Coronavirus Roma, 14 set. (askanews) – Dal 20 settembre si parte in Italia con la terza dose, o meglio con la dose aggiuntiva, di vaccino anti-covid (a m-Rna, quindi BioNTech/Pfizer e Moderna): dopo il parere di Aifa e Comitato tecnico scientifico, è arrivato l’annuncio al termine di una riunione del Commissario per l’emergenza Covid Francesco Paolo Figliuolo e il ministro della Salute Roberto Speranza. E si parte con le persone più fragili. Strategia vincente? Ecco cosa ne pensa l’immunologo Andrea Cossarizza, docente di Patologia generale e Immunologia all’Università di Modena e Reggio Emilia (UniMoRe), che con il gruppo ha svelato per primo cosa succede al sistema immunitario quando viene investito dalla tempesta di citochine, nella forma più grave della Covid-19. ‘Sono certamente d’accordo sul fatto che sia molto importante aiutare o potenziare la risposta immunitaria delle persone che per qualche motivo non ne hanno sviluppato una buona dopo le due dosi. Penso che tra queste persone ci possano essere pazienti che fanno terapie per neoplasie, che hanno tumori in atto o in neoplasie in remissione dopo chemioterapia, persone sottoposte a particolari trattamenti con i cosiddetti farmaci biologi, come chi è affetto da sclerosi multipla o da altre malattie autoimmuni, chi fa terapie immunosoppressive per un trapianto di organo o ha ricevuto un trapianto di cellule staminali, e naturalmente le persone molto anziane, la cui risposta immunitaria è sempre molto più debole di chi ha molti anni in meno. Per tutti loro potrebbe essere molto importante ricevere un ulteriore aiuto, cioè una dose aggiuntiva di vaccino -sottolinea l’immunologo – dal momento che ci si aspetta che le persone sopra citate, che si possono definire ‘fragili’, abbiano una risposta immunitaria compromessa. Per alcuni di questi pazienti ci sono già evidenze scientifiche che – fotografando una situazione ampiamente prevedibile – mostrano ad esempio come il titolo anticorpale sia basso’. Quindi ‘fare un booster, ovvero somministrare una dose aggiuntiva atta a rinforzare la risposta che la prima dose ha attivato e la seconda dose ha confermato potrebbe essere importante. I dati in letteratura su moltissimi tipi di vaccini precedenti ci dicono che questa strategia è ottima per far produrre anticorpi in misura maggiore anche alle persone che non hanno una buona risposta iniziale. E se per ovvi motivi ci mancano ancora dei dati solidi sulla terza dose del vaccino anti-Covid, ci aspettiamo che accada quello che abbiamo visto con tutti gli altri vaccini’. Certo – aggiunge – ‘è sempre cruciale farsi guidare dai dati, e quindi, per valutare la risposta immunitaria delle persone fragili e la eventuale necessità di una dose aggiuntiva, misurare il titolo anticorpale sia per conoscere lo stato immunologico di ogni singolo individuo e quindi capire l’importanza della dose aggiuntiva, sia per analizzare la risposta a livello di popolazione, analizzando risultati di studi multicentrici, che confermino la validità strategica di questo approccio’. Se per le persone fragili l’immunologo non ha dubbi, meglio aspettare per gli altri, anche per le persone delle categorie cosiddette più esposte, come ad esempio i medici, perché ‘in teoria potrebbe essere una buona idea, ma bisogna seguire lo stesso approccio scientifico di prima, basato sui dati. Per quanto riguarda l’età, è ben noto che un 20enne o un 30enne abbia una risposta immunitaria migliore di un over 70. Oggi possiamo misurare non solo gli anticorpi, ma anche la funzionalità dei linfociti T (l’altro aspetto della risposta immunitaria a lungo termine), anche se per questi ultimi i test sono estremamente complessi e non alla portata di tutti i laboratori di analisi. Ma credo sia importante prima di tutto vaccinare quel 26% di italiani (over 12) che non lo ha ancora fatto, e in parallelo valutare come aumentare l’efficacia delle vaccinazioni nelle persone immunocompromesse, poi ragionare su tutto il resto’. Ora – incalza Cossarizza – ‘preoccupiamoci di vaccinare tutti e subito, estendiamo il green pass, introduciamo l’obbligo vaccinale per tutti, poi possiamo andare oltre’. Ma se il vaccino non dura abbastanza? ‘Il sistema immunitario ha un’ottima memoria. E sgombriamo il campo da un equivoco: la risposta immunitaria non dipende solo dagli anticorpi che sono rilevabili nel sangue e che si misurano coi normali test; dipende anche da altre cellule che non circolano nel sangue se non in minima misura, e sono accasate in diversi organi linfoidi. Misurare la loro attività è molto difficile – non si può certo fare un prelievo dalla milza o da un linfonodo! Se però troviamo un calo nel titolo anticorpale di una persona vaccinata non c’è motivo di preoccuparsi. Se l’organismo non ritorna a contatto con il virus, gli anticorpi nel sangue calano, è normale. Infatti non c’è motivo di continuare a produrre anticorpi se non si incontra più l’antigene, cioè il virus. Ma le cellule che producono anticorpi non muoiono: restano negli organi secondari pronti a riattivarsi quando serve. Va poi sottolineato che quando la viremia di popolazione (cioè la quantità totale di un virus presente) crolla, come è successo adesso – ed è quello che doveva fare e ha fatto la vaccinazione – le persone che non vengono più a contatto col virus possono produrre pochi anticorpi, la cui la caduta nel sangue è quindi fisiologica’. Questo non significa che il sistema immunitario, che è molto complesso ed efficiente, non protegga più, di fatto ‘non sappiamo ancora la vera durata del vaccino, lo scopriremo nel tempo semplicemente perché abbiamo iniziato a vaccinare solo da inizio anno. Per sapere cosa accadrà tra un anno, dobbiamo aspettare 12 mesi. Oltre ai test immunologici, ce lo rivelerà la situazione epidemiologica. E già sappiamo che il numero di persone vaccinate che vengono ricoverate è oggi infinitamente inferiore a quello delle persone non vaccinate’. Ma ‘il futuro non si conosce, ovviamente, e purtroppo non sono dotato di una sfera di cristallo particolarmente efficiente. La cosa più razionale adesso è coprire tutte le persone non vaccinate e valutare la vaccinazione delle persone fragili. Poi semmai potrebbe arrivare il momento di guardare agli altri, compreso il personale sanitario, che – se non immunodepresso – è più a rischio di contrarre l’infezione, ma non di ammalarsi, quantomeno non gravemente, visto che è vaccinato. E a questo serve e funziona il vaccino anti-Covid’. Sarà importante anche vaccinare il più possibile dai 12 ai 16 anni, ‘importante nella misura in cui riusciamo ad arginare la diffusione del virus e la conseguente possibile insorgenza di nuove varianti, ma non solo. Se in generale il virus provoca danni minimi nei ragazzi, o non ne provoca affatto, ci sono anche quelli che hanno contratto la malattia in forma grave – 400 bambini o ragazzi sono morti in Usa, 30 in Italia – e non sappiamo ancora quali siano gli effetti a lungo termine del cosiddetto ‘long Covid’, una complessa serie di sintomi che sono presenti in moltissime persone guarite dall’infezione’. Vero è che con i vaccini a mRNA sono stati riscontrati ovunque rari casi di miocardite e pericardite che insorgono dopo la vaccinazione, ‘abbiamo visto i dati israeliani pubblicati qualche giorno fa sul New England Journal of Medicine, riportano in tutto circa 5 casi per 100,000 persone vaccinate. Lo sappiamo, conosciamo le patologie e dobbiamo stare sempre molto attenti. Ma fortunatamente nella stragrande maggioranza dei casi queste patologie sono facilmente trattabili e guariscono rapidamente’. Stesso discorso vale per la vaccinazione degli under 12, una volta ricevuto l’ok delle autorità regolatorie sulla base dei necessari studi scientifici. Infatti, l’obiettivo è sempre lo stesso: ‘Bloccare il virus il più possibile’; e per farlo ‘bisogna farci guidare solo dalla scienza, non c’è un altro modo’. E adesso partiamo da un vantaggio: ‘Non dobbiamo più agire con la mentalità che era necessaria nella prima, drammatica fase, e l’emergenza, almeno dal punto di vista della somministrazione dei vaccini, ora sta finendo. Ragioniamo con i dati disponibili da studi portati avanti in tutto il mondo e valutiamoli bene, rifacciamo il punto della situazione per cercare di migliorare le conoscenze che abbiamo. Stiamo bene con i piedi per terra, abbiamo fatto passi da gigante con i vaccini in pochissimo tempo, adesso non cediamo agli entusiasmi. Se la strategia globale del governo e del commissario anti-Covid si basa su questo, è ben ragionata e ampiamente condivisibile’. Siamo sulla buona strada ma per restarci devono restare fermi anche i comportamenti adeguati, da parte di tutti, comportamenti che dovrebbero essere ormai abitudini da non mettere in discussione; ma (purtroppo) non sempre lo sono: ‘Qualche giorno fa sul treno da Bologna per Napoli una coppia non aveva il green pass. Il capotreno li ha fatti giustamente scendere prima della loro fermata. Dovrebbe ormai essere ovvio. Bisogna continuare a fare attenzione, seguire le regole, evitare assembramenti, tenere la mascherine (e tenerle bene su bocca e naso, senza toccarle in continuazione) soprattutto nei luoghi chiusi, sapendo che più le teniamo adesso, prima le potremo togliere senza rischi’. Perché – in conclusione – ‘la lotta al virus sta andando bene, ma ancora non è finita’. (di Giovanna Turpini) Gtu/Int5