Piazza Alimonda 2001, “Ho visto quel ragazzo morire”

La testimonianza diretta di un cronista

LUG 20, 2021 -

G8 Genova Milano, 20 lug. (askanews) – Sarei voluto esserci, di nuovo, vent’anni dopo, a Piazza Alimonda a Genova. Per ricordare e per raccontare. Il 20 luglio 2001 fu un punto di non ritorno nella mia vita personale: ero lì da cronista per Rainet news, e con la fotocamera in mano, quando fu ucciso Carlo Giuliani. E fu uno spartiacque per l’Italia: il primo morto dopo 24 anni per disordini in piazza (Giorgiana Masi, 1977), la “macelleria messicana” della Diaz e le prove di lager all’italiana di Bolzaneto. Uno stop a un’epoca di gestione “preventiva” della piazza da parte delle forze dell’ordine per un nuovo paradigma molto più repressivo, che il governo di allora difese e in parte incoraggiò. Un giorno drammatico e speciale, forse unico, anche nella vita di un cronista: raccontare un fatto che sarebbe passato alla storia, di cui ero stato stato testimone, al posto, come succede quasi sempre, di ricostruirlo successivamente, attraverso testimonianze. No, io ero lì. Ad una distanza di esattamente di 54 metri, come stabilì, usando triangolazioni trigonometriche, foto e filmati tv, il fisico ottico che mi raggiunse in vacanza per raccogliere la dichiarazione con la quale confermavo di essere la persona con i capelli ricci che passava davanti alla telecamera Rai con una macchina fotografica digitale in mano, comprata tre giorni prima proprio per documentare eventuali scontri a Genova. Un giorno che cambiò la vita di tanti e l’eclissi di un Movimento critico nei confronti della globalizzazione. Cancellato dalle agende dell’informazione poi dall’attentato alle Torri Gemelle e dalla nuova Guerra all’Iraq. Nello stesso tempo, la globalizzazione e i suoi effetti, furono per un po’ banalizzati e svuotati di contenuti, studio e approfondimento per poi essere ripresi, per lo più come slogan, dai populismi del decennio successivo. Quel giorno vissi non solo il dramma di un omicidio davanti i miei occhi: il “pam pam” secco che, fatalmente, risuona nell’aria. Ho rivissuto le stesse tragiche emozioni provate nei giorni dell’assedio di Sarajevo. La stessa sensazione di angoscia e impotenza, con l’adrenalina che ti fa continuare a restare lì, nonostante tutto, inchiodato sulla scena. Sono passati vent’anni ma del G8 di Genova ricordo bene tutto, o quasi tutto. Ma quello che non credo dimenticherò mai è lo zampillo di sangue dal viso che formava già una macchia di sangue sull’asfalto; l’assurda consapevolezza di doverti guardare dai reparti speciali di manganellatori in divisa, che invece dovrebbero proteggerti, ed evitare nello stesso tempo i misteriosi black block che facevano paura. Quindi bisognava stare attenti a tirare fuori l’accredito giusto a seconda di chi incontravi, quello ufficiale o quello del Genoa Social Forum. Con uno botte dai black block, con l’altro si rischiava con i carabinieri invasati: oltre 50 giornalisti finirono al pronto soccorso. Oggi, il carabiniere che sparò è in sedia a rotelle e cerca ancora di riabilitarsi: “Avevo vent’anni, ho sparato in alto”. Aveva allora vent’anni. Ne aveva “ventitré, Carlo Giuliani. Tre di meno l’ausiliario che si era trovato lì, con una pistola caricata con proiettili veri”. (di Marco D’Auria)