Pestaggi a S.M. Capua Vetere, Luigi Manconi: il carcere va riformato radicalmente

L'opinione del presidente di "A buon diritto"

GIU 30, 2021 -

Carceri Roma, 30 giu. (askanews) – Il giudice per le indagini preliminari, firmando misure cautelari per 52 tra dirigenti e agenti, ha definito quello che è successo il 6 aprile del 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere Francesco Uccella ‘uno dei più drammatici episodi di violenza di massa ai danni dei detenuti’, una ‘orribile mattanza’. Il giorno prima, dopo la notizia di casi di Covid in carcere, i detenuti avevano organizzato una protesta. Il giorno dopo, dietro lo schermo di un’ispezione, per quattro ore umiliazioni – dall’inginocchiamento forzato e prolungato alla rasatura di barba e capelli – violenze, botte, manganellate ai detenuti. Alcuni di loro denunciano, lo fanno i loro garanti e alcune associazioni. E alle immagini delle telecamere di sorveglianza, pubblicate in esclusiva dal quotidiano ‘Domani’, che riprendono quelle violenze, c’è poco da aggiungere. Tanto che la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, parla di ‘tradimento della Costituzione’. Ma dietro quelle violenze c’è qualcosa che non si risolve in un ‘caso’, lo spiega ad askanews il professore Luigi Manconi, fondatore e presidente di A Buon Diritto onlus. ‘Le parole del ministro mi sembrano quanto mai opportune ma non esauriscono il problema. Purtroppo il suo augurio che siano fatti isolati è già stato smentiro dai fatti: nel febbraio scorso il tribunale di Firenze ha condannato, in primo grado, 10 poliziotti penitenziari per atti di tortura nei confronti di detenuti. E ricordo un dato impressionante: tra luglio 2019 e quel 6 aprile del 2020 a Santa Maria Capua Vetere si sono registrate 9 indagini della magistratura su altrettante vicende di violenze e maltrattamenti avvenuti in carcere, in nove mesi 9 indagini’. Quindi ‘se da un lato è ovvio che la responsabilità penale è personale, ed è ovvio che non si tratta in alcun modo, e sottolineo in alcun modo, di criminalizzare un intero corpo di polizia, è altrettanto vero che non si può parlare di poche mele marce. Indubitabilmente ci sono tendenze alla sopraffazione nei confronti dei detenuti, ci sono tendenze all’esercizio di punizioni illegali che non possono farsi risalire a poche mele marce. Questo è il primo dato, ce n’è un altro persino più inquietante: come ormai tutti sappiamo il 6 aprile 2020 accade quella che il gip definisce ‘orribile mattanza’, ma a ottobre dello stesso anno, sei mesi dopo, rispondendo alla Camera ad una interrogazione del deputato Riccardo Magi il ministero della giustizia – tramite il sottosegretario Vittorio Ferraresi Ndr -afferma che il 6 aprile c’è stata ‘una doverosa azione di rispristino dell’ordine e dell’agibilità’. Quello che un gip definisce mattanza, per il ministero – allora guidato da Alfonso Bonafede – è (con una formula tra l’altro priva di senso) un ‘ripristino dell’ordine e dell’agibilità”. Ma ‘chi ha preparato quella risposta? Le risposte che dà il ministro o un sottosegretario, sono preparate da un apposito ufficio del ministero della giustizia che si rivolge all’amministrazione – in questo caso all’amministrazione penitenziaria – : ‘un parlamentare ha chiesto di questa vicenda, accaduta il 6 aprile, cosa dobbiamo rispondere?”. Quindi la conclusione di Manconi è netta: ‘Qualcuno ha mentito, ingannato, manipolato la verità, a sei mesi dai fatti e quando già la procura stava indagando’. ‘Io sono stato sottosegretario alla giustizia con delega alla carceri tanti anni fa ( secondo governo Prodi Ndr ) e a me sembra incredibile che quell’azione di ‘rispristino dell’ordine e dell’agibilità’ sia avvenuta senza che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a Roma venisse in qualche modo informato’, spiega il professore, ricordando che ‘quell’operazione vide coinvolti due comandanti della polizia penitenziaria e il provveditore regionale. Nel linguaggio dell’amministrazione il provveditore è il responsabile di tutte le carceri della Campania, che infatti è stato interdetto. E’ molto difficile credere che questa operazione sia avvenuta senza che qualcuno avvertisse Roma’. ‘Io ho una grande fiducia nella ministra della Giustizia Cartabia – è non è una fiducia astratta, perché ha sempre detto e fatto cose sagge – che anche in questo caso procederà come richiesto da una situazione che è drammatica’. Su quello che è accaduto nel carcere i Santa Maria Capua Vetere ‘c’è poco da dire, sottoscrivo le parole delle ministra. Ci sono le immagini, ci sono le decisioni del gip: c’è stata una spedizione punitiva. I fatti di Santa Maria Capua Vetere sono particolarmente gravi perché non sono effetto di una reazione eccessiva da parte di un poliziotto, non sono manifestazione di una tensione sempre possibile tra chi custodisce e chi è in custodia, non è il segno di un’aggressività reciproca tra carcerieri e detenuti ma si tratta di un’azione programmata nei minimi dettagli, formalizzata attraverso una tempistica precisa e attuata con una tattica militare. Questo è di una gravità inaudita’. Ma qual è la situazione nelle carceri italiane? ‘La difficoltà della convivenza, il sovraffollamento, lo stato di angoscia derivante dal covid, le disastrose condizioni igienico sanitarie, non vengono affrontati con misure sagge e intelligenti ma affidati ai rapporti di forza. Chi ha il compito di esercitare il controllo e reprimere le tensioni in determinate circostanze può evidentemente ricorrere a strumenti illegali, all’abuso della forza. Però – ribadisce Manconi – a Santa Maria Capua Vetere è successo qualcosa di diverso, è stata una spedizione punitiva. Evidentemente da parte di almeno alcuni dei dirigenti delle carceri c’è l’idea che l’ordine vada garantito attraverso l’esercizio della violenza. C’era stata una protesta nei giorni precedenti e per ripristinare l’ordine si ricorre all’esercizio della violenza’. Che si può fare? ‘Bisogna riformare il carcere da cima a fondo. Nelle carceri il 30% delle persone recluse è in attesa di condanna definitiva, e questo è incivile. Il numero dei tossicodipendenti è elevatissimo, e questo è incivile. La riforma del carcere deve essere radicale, va trasformato da cima a fondo. Finora nessuno ha dimostrato di volerlo fare’. Ché ‘il problema non si risolve con piccoli provvedimenti’; bensì con un capovolgimento di fronte: ‘Bisogna operare sempre affinché il carcere sia davvero l’estrema ratio, solo quando è strettamente indispensabile e necessario. Ci sono decine di migliaia di detenuti che potrebbero scontare la pena in modo diverso, aspettare il processo fuori dal carcere; e una volta condannati potrebbero espiare con modalità che non siano la cella chiusa, che tuttora in Italia è la principale forma di pena. E’ incivile che la cella chiusa sia l’unica forma di pena non solo applicata ma addirittura pensata’. In Italia ‘c’è una mentalità regressiva, arretrata. Adesso nelle proposte di riforma c’è un più ampio ricorso alla pena pecuniaria – in Germania ad esempio è molto usata – questo è giusto. Qualunque sanzione diversa dalla cella chiusa va sperimentata, la cella va riservata solo ed esclusivamente ai detenuti socialmente pericolosi, che secondo la stessa amministrazione penitenziaria sono il 10% della popolazione carceraria (stima del Dap)’. Non ci si cura – tantomeno indigna – per ciò che avviene in carcere, per le sorti dei detenuti, perché? ‘Le persone ritengono di esser normali, ritengono che chi vada in carcere sia anormale. In carcere c’è il cittadino di serie B, che merita di essere privato di tutti i diritti. Altro che la culla del diritto, in Italia la sensibilità per le garanzie individuali, per le tutele della persona appartiene ad una minoranza. Le culture politiche prevalenti non hanno questa sensibilità, si basano sull’idea che il male sia nella testa e nel cuore dei criminali, una cosa che non riguarda le persone normali, ma sia prerogativa di una categoria di persone che di conseguenza sono considerate di serie B e come tali vanno trattate’. In realtà ‘il carcere è uno dei luoghi dove viene tenuta a bada la povertà. Ecco la popolazione carceraria: 30% stranieri, 30% tossicomani, 30% persone con dipendenze varie, malati di mente, alcolisti, fuoriusciti da vari istituti di contenzione, infine quel 10% di persone socialmente pericolose, appartenenti alla media e grande criminalità. Quindi il carcere è un luogo dove vengono controllati e disciplinati i poveri, vecchi e nuovi poveri’. Quanto la realtà sia diversa da quella spesso percepita, lo dice un altro dato: ‘La gran parte degli stranieri è in carcere per un illecito amministrativo, non per un reato, ma perché non ha i documenti in regola. Che idea abbiamo della pena se mettiamo in carcere chi non hai documenti in regola? Se pensiamo che chi si trova in una condizione di svantaggio così acuto debba essere punito?’. Forse un esercizio di immedesimazione può aiutare: che penseremmo se un italiano venisse messo in carcere in un Paese straniero solo perché non ha i documenti in regola? Cosa che è successa ( in minima parte e per minimo tempo) questa primavera nell’era Brexit con alcuni italiani alla frontiera di Londra, arrestati, portati nel carcere di Heathrow ed espulsi. E con la dovuta reazione-indignazione dell’Italia e dell’Ue. ‘Oggi – incalza Manconi pur sapendo l’effetto che fanno le sue parole – bisognerebbe avere il coraggio, ma la classe politica questo coraggio non ce l’ha, di approvare un’amnistia e un indulto per ridurre drasticamente la popolazione detenuta, il numero dei processi, delle cause pendenti e poi ripartire da zero, con una riforma che elabori un ventaglio di sanzioni e pene alternative alla cella chiusa, dai lavori socialmente utili, alla giustizia riparativa, dalle pene pecuniarie alle attività di risarcimento e – ripeto – usare il carcere come solo come estrema ratio e solo nei confronti dei detenuti che siano comprovatamente socialmente pericolosi. Si continua ancora a pensare che la pena deve essere il carcere, oppure non è una pena. Questa è una scemenza’. Ma la cella chiusa non garantisce più sicurezza? Altro errore: ‘Parlano i dati. I cittadini italiani dovrebbero sapere che coloro che hanno scontato interamente la pena in carcere tornano a delinquere nel 69% dei casi e coloro che invece scontano la pena in misura alternativa tornano a delinquere nel 2-3% dei casi. Se i cittadini realizzassero questa verità statistica già dovrebbe cambiare radicalmente l’atteggiamento nei confronti del carcere. Eppure questo dato o viene ignorato o nascosto, oppure i numeri risultano in fondo troppo asettici, sembrano incapaci di soddisfare una voglia di vendetta che circola nel corpo sociale’. (Di Giovanna Turpini). Gtu