Tutto ciò che c’è da sapere sulla campagna di vaccinazione

Con le opinioni di Crisanti, Pregliasco e Cossarizza

MAG 15, 2021 -

Roma, 15 mag. (askanews) – Il 30,5 per cento degli italiani ha ricevuto la prima dose di un vaccino anti-Covid. Per oltre otto milioni (il 13,89%) la vaccinazione è completa. Si corre per vaccinare il più possibile, il generale Francesco Figliuolo, commissario straordinario per l’emergenza Covid, è in pressing, le regioni in volata per riaprire. Per far correre di più le vaccinazioni si aprono nuovi hub, si organizzano open day, si vaccina nelle farmacie.

Si spinge anche sul vaccino di Astrazeneca, Vaxzevria, rimasto più nel frigorifero (specie al Sud, tanto che si ri-organizza la distribuzione alle regioni del Nord), anche a fronte di indicazioni altalenanti per le fasce d’età (prima raccomandato agli under 60, poi ‘in via preferenziale’ agli over 60, dopo segnalazioni di alcuni casi di rare trombosi).

L’orientamento ad ora, come in alcuni regioni è di fatto, l’uso di AstraZeneca su base volontaria anche per gli under 60. Si accelera, ma ci sono persone, che per età e patologie rischiano forme gravi di covid-19, non ancora vaccinate e per dare a tutti al più presto almeno la prima dose, con una circolare del ministero della salute, corroborata dal parere del Comitato tecnico scientifico, si raccomanda di spostare la seconda dose di vaccini a Rna messaggero (Pfizer e Moderna) da 21-28 giorni fino a 42 giorni. Valeria Marino, direttore medico di Pfizer Italia, scatena il putiferio raccomandando l’uso secondo gli studi con la seconda dose a 21 giorni (‘Il vaccino è stato studiato per una seconda somministrazione a 21 giorni’); poi l’azienda farmaceutica corregge un po’ il tiro (‘per Pfizer non è in discussione il piano vaccinale, l’azienda si limita a riportare quanto emerso dagli studi registrativi’). L’Ema avalla il delay con una dichiarazione del responsabile della strategia dei vaccini Marco Cavaleri; l’Aifa lo fa con il suo presidente Giorgio Palù in un’intervista al Corriere della Sera (il parere della commissione tecnico scientifica dell’Aifa il 9 aprile ricordava che ”l’intervallo ottimale’ era a 21-28 giorni rispettivamente per Pfizer e Moderna, ‘qualora tuttavia si rendesse necessario dilazionare’ era contemplato un massimo di 42 giorni). Mentre si fa largo l’ipotesi di fare i richiami nei luoghi di vacanze per non perdere i turisti (apripista la Liguria che lo ha già annunciato), le regioni vanno anche su questo in ordine sparso: ai 21-28 giorni restano Val D’Aosta e Sardegna, la Campania si attesta a 30 giorni, fino a 35 giorni Piemonte, Emilia Romagna, Umbria, Lazio, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. In tutte le altre fino a 42 giorni, ma la Toscana ad esempio solo a partire da chi si è prenotato dopo il 13 maggio. In Abruzzo invece decidono le Asl.

Da un lato arrivano i primi studi sull’efficacia dei vaccini in Italia (l’università di Ferrara su 37mila vaccinati) che confermato l’efficacia di AstraZeneca, Moderna e Pfizer: infezioni da Sars-CoV-2 crollate del 95%, casi di malattia -99%, un solo decesso, una donna di 97 anni. Dall’altro, la comunicazione non sempre ottimale su alcuni punti della campagna di vaccinazione rischia di lasciare qualche incertezza. Askanews ha chiesto il parere a tre esperti: Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell’Azienda ospedaliera di Padova, Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università Statale di Milano, all’immunologo Andrea Cossarizza, professore dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

La seconda dose del vaccino Pfizer a 42 giorni è un problema o no? ‘Non lo so, secondo me bisogna attenerci a quello che ha detto il produttore. Che ha detto il produttore? Che non garantisce’, risponde con la sua usuale franchezza Andrea Crisanti. Ma sembra un problema legale? ‘Certo che c’è un problema legale. Un esempio netto per capirci: se una persona fa una dose sola, poi (nel mentre dei 42 giorni) si ammala e muore, che si fa? Non è approvato a 42 giorni. L’autorizzazione che ha ricevuto non lo prevede, quindi fondamentalmente è un problema di carattere legale’. E l’efficacia? ‘Sappiamo che a 15 giorni la protezione è intorno al 70%, quindi è una buona protezione anche con una singola dose, però quanto dura non lo sa nessuno, nessuno lo ha sperimentato’. Ha dubbi anche sull’efficacia quindi? ‘Non lo so, perché nessuno lo sa fondamentalmente. Una risposta onesta è questa. E’ una scelta politica. Si vogliono accelerare le vaccinazioni’.

‘La posticipazione del richiamo è una scelta di carattere politico. Ci sono dei margini di incertezza tali per cui non si può dare un giudizio tecnico, semplicemente perché nessuno lo sa effettivamente quale arco temporale sia migliore. Il bilanciamento dei rischi e benefici è una scelta politica non è una scelta tecnica. Un tecnico guarda i dati e se non ci sono i dati sufficienti dobbiamo fermarci, possiamo spingerci fino a qui, oltre non lo sappiamo’, sottolinea Crisanti, ricordando che questo vale sempre.

Si punta anche sull’uso del vaccino Astrazeneca con open day et similia, non si dà alla fine un messaggio sbagliato? ‘Il vaccino Astrazeneca è un vaccino efficace e sicuro. Se per alcune categorie c’è un rischio, anche minimo, è un bene che le persone appartenenti a queste categorie possano fare un altro vaccino, visto che c’è un’alternativa, facciano l’alternativa. Astrazeneca rimane un ottimo vaccino. Se per le donne dai 18 ai 50 anni si possono minimizzare ancora di più i rischi, che rimangono molto bassi, va bene l’alternativa. Semplicemente: perché far correre anche il più piccolo rischio se si può evitare’.

Crisanti fa notare che la comunicazione che viene fatta in Italia sui vaccini ‘è una comunicazione un po’ provinciale, perché tende a demonizzare le paure, i dubbi delle persone. Invece serve un approccio diverso, di maggiore coinvolgimento. Se una persona ha paura, quella paura non va stigmatizzata ma presa in considerazione e vanno date risposte’.

Richiami posticipati si o no? Il virologo dell’università la Statale di Milano Fabrizio Pregliasco ricorda un precedente: ‘Il 7% dei volontari nelle fasi di sperimentazione pre-registrazione del vaccino Pfizer ha avuto la seconda dose ad un intervallo di sei settimane, quindi non è del tutto off-label andare a 42 giorni. Nella pratica reale, con le vaccinazioni dell’infanzia, abbiamo valutazioni di efficacia analoghe anche con i ritardi nei richiami’. E le obiezioni del direttore medico di Pfizer Italia? ‘Ha ribadito un aspetto legale, che esiste ed è presente, secondo cui la schedula vaccinale prevede il richiamo a 21 giorni. A mio avviso c’è stata però anche una comunicazione non perfetta, infatti poi è stato un po’ corretto il tiro. In questa infodemia pazzesca ogni cosa che si dice, e come la si dice, ha un effetto micidiale. C’è stato anche un errore di comunicazione, una comunicazione che non ha tenuto conto degli effetti di un’affermazione, che ha una sua validità. E’ vero che gli studi indicano il 21esimo giorno, ma arrivare al 42esimo non è avulso dagli stessi studi, visto che il 7 % dei volontari ha ricevuto il richiamo a quella data’.

C’è da temere per l’efficacia della vaccinazione? ‘Assolutamente no – risponde Pregliasco – il funzionamento del richiamo è tale da dare una spinta, l’imprinting arriva dalla prima dose, la seconda fa la volata finale. E in questo meccanismo attendere due-tre settimane in più non cambia assolutamente niente’.

L’Ue sembra considerarlo superato, non ha rinnovato il contratto e ha annunciato di puntare sui vaccini a mRna, ma ora per allargare e velocizzare la vaccinazione in Italia si spinge all’uso di Astrazeneca; è un vaccino efficace? ‘Assolutamente sì’. E sicuro? ‘A mio avviso assolutamente sì. C’è stata una grande attenzione e anche una dimostrazione di grande trasparenza rispetto ad eventi avversi che ci sono, come ci sono per tutti i vaccini, ma che sono molto meno di quelli legati ai farmaci, anche farmaci come l’aspirina. Al limite, lasciare un’alternativa per le donne sotto i 60 anni, potrebbe essere una buona indicazione’.

Infine, cosa ne pensa del richiamo posticipato del vaccino a Rna messaggero l’immunologo Andrea Cossarizza? Il professore dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia parte da una premessa: ‘L’unico punto di vista che io posso discutere è quello tecnico, ovvero sull’efficacia’, detto questo ‘ci sono ancora pochi dati. C’è però un lavoro molto serio di un gruppo di ricercatori canadesi, pubblicato sul British Columbia Medical Journal, sull’utilizzo dei vaccini a mRna con la seconda dose a 35-42 giorni, condotto sulla base dei dati raccolti – anche se non pubblicati – del National Advisory Committee on Immunization, agenzia che fa parte del sistema sanitario canadese. E questi dati dicono che non c’è differenza di efficacia: il vaccino, a ciclo completato, funziona nello stesso modo, e completare il ciclo a due dosi in 21 giorni o in 42 giorni non cambia l’efficacia di questo vaccino’. ‘L’efficacia viene calcolata confrontando le persone che si infettano senza vaccinazione con quelle che non si infettano dopo la vaccinazione, come avviene per tutti i vaccini del mondo, di qualunque tipo. E gli studi dicono che già dopo la prima dose, a una settimana o poco più, la protezione è alta nei confronti dell’infezione e molto alta nei confronti della malattia. Questo significa che le persone infette non sviluppano una malattia tale da richiedere il ricovero in ospedale’, aggiunge l’immunologo, per cui ritardare la seconda dose ‘è una strategia che si può utilizzare perché non inficia la qualità della vaccinazione’. Tanto per fugare i dubbi: ‘Non si perde la protezione tra le due dosi’. Tutto liscio? No, c’è un aspetto molto importante da considerate, un ‘ma’ da tenere ben presente perché riguarda le categorie più fragili e quindi ‘dobbiamo stare molto attenti’: ‘Non può essere un tipo di strategia utilizzabile per tutte le persone. Un recente quanto importante studio su Lancet Oncology evidenzia come le persone che hanno problemi di tipo oncologico, così come le persone trattate con immunosoppressori per malattie autoimmuni, hanno un sistema immunitario che risponde meno ai vaccini, e quindi sono molto più a rischio di ammalarsi. Per queste categorie di persone non credo che sia il caso di allungare i tempi. Per le persone sane è un rischio calcolato, minimo, che quindi si può prendere se c’è la necessità, dal punto di vista strategico, di vaccinare più persone. Il rischio potrebbe però non essere né calcolato né minimo per le persone che hanno bisogno di avere un’immunità più valida, più forte, e il prima possibile. Questo forse vale anche per le persone anziane: non ci sono moltissimi dati sugli over 80, non possiamo sapere per loro se il ritardo della seconda dose sia un problema. C’è comunque di buono che in questa fascia di età la percentuale di persone vaccinate è altissima’. Quindi, il richiamo posticipato ‘è una strategia che nelle persone sane mi convince, se si vogliono fare più vaccinazioni possibili, nel momento in cui ci sono poche dosi, se si vogliono circoscrivere dal punto di vista epidemiologico i contagi. Nelle persone deboli, con patologie, nei pazienti oncologici, in quelle sottoposte a terapie immunosoppressive o molto anziane potrebbe non essere ottimale. Io starei molto attento’. Invece ‘starei molto più tranquillo se questa strategia venisse usata per vaccinare i più giovani, o anche gli adolescenti. I dati che stanno uscendo sul vaccino anti-covid di Pfizer negli ragazzi tra i 12 e i 15 anni mostrano risultati assolutamente spettacolari, protezione del 100%. Nessun problema in questo caso vaccinazione con seconda dose a 42 giorni’.

Il rush della campagna di vaccinazione, in vista delle graduali riaperture e della stagione estiva, spinge all’uso di AstraZeneca anche agli under 60: ‘Bisogna vaccinare più persone possibili, i dati sugli effetti avversi li conoscono tutti, pochi casi su milioni di vaccinazioni, e sono numeri molto piccoli. Sappiamo che in medicina non esiste il rischio zero assoluto, non esiste per i vaccini come non esiste per i farmaci, basta leggere il bugiardino dell’aspirina. Lo dico con tutta l’umana comprensione per chi manifesta effetti collaterali anche molto, molto gravi. Che però abbiamo imparato a riconoscere e a trattare. In questo momento dobbiamo vaccinare più persone possibile, e sta alla politica decidere come fare. Gli scienziati devono parlare di come funzionano i vaccini e fornire i dati, altro non dobbiamo discutere. E’ un aspetto politico complicato dalla regionalizzazione della sanità pubblica. Tant’è che ogni regione sta scegliendo una strada diversa’. E se AstraZeneca è rimasto un po’ in frigo, soprattutto al Sud, c’è invece chi ancora teme l’utilizzo della tecnica dell’Rna messaggero, complici fake news che paventano il rischio di modifiche al Dna: ‘Frutto solo di ignoranza abissale. L’Rna messaggero non ha nessuna istruzione che possa fargli alterare il nostro Dna, non entra neanche nel nucleo della cellula, non può modificarlo. Inoltre l’Rna messaggero si degrada molto velocemente, non resta a lungo nell’organismo. Non esiste un gene che entri in qualche sito del genoma, l’mRna è solo una molecola che vive per poco tempo nel citoplasma’. Inoltre – sottolinea Cossarizza – non è vero che si tratta di una tecnica così nuova: ‘L’Rna messaggero, come tecnologia di trasferimento di un ordine che faccia produrre una certa proteina, ha quasi 30 anni. I primi studi sull’uso dell’Rna messaggero per i vaccini sono degli anni ’90. Nel 1993 è stato visto che iniettando Rna messaggero nell’animale da esperimento si otteneva l’attivazione dell’immunità cellulare, nel 1995 che veniva indotta anche la risposta anticorpale. La prima vaccinazione con mRna, per un vaccino contro il cancro, risale al 1995 e a questa sono seguiti una vasta serie di trial clinici. Ce ne sono anche oggi molti in corso. La tecnologia è consolidatissima e supportata da una lunga serie di studi di sicurezza’. Il grandissimo passo in avanti tecnologico è avvenuto qualche anno fa con la scoperta di un innovativo e potente strumento chiamato CRISPR/Cas9, che è valso nel 2020 un Nobel a due ricercatrici, la biochimica francese Emmanuelle Charpentier e la biochimica americana Jennifer Doudna dell’Università della California. Un sistema grazie al quale la produzione delle molecole di mRna e Dna è diventata semplice e veloce.

Un ultimo dubbio specie per le persone non a rischio, non sappiamo quali siano gli effetti a lungo termine dei vaccini? ‘Vero. Sono passati solo pochi mesi dall’inizio della campagna vaccinale. Ma nel 2020 in Italia oltre 100.000 persone hanno sperimentato con la propria morte quali siano gli effetti del virus. Esiste anche il long covid, patologia che colpisce una percentuale non piccola di persone guarite dalla malattia. Il vaccino è l’unico modo per togliere dalla circolazione questo virus. I comportamenti non bastano di certo. Sono stato qualche giorno in riviera, e non ho visto persone particolarmente entusiaste di tenere la mascherina o stare distanziate’.

La vaccinazione che avanza riguarda sempre di più i giovani, fasce di età che sulla carta al momento rischiano meno complicanze se si ammalano di Covid-19, perché dovrebbero vaccinarsi? ‘E’ molto semplice, per evitare che si infettino nonni e genitori, più a rischio, e (anche se nonni e genitori sono vaccinati, sapendo benissimo che l’efficacia di ogni vaccino non è il 100%) per evitare che il virus circoli liberamente, tra giovani, ragazzi e ragazzini, e crei varianti contro le quali potrebbe essere difficile difendersi con quello che abbiamo disponibile oggi. Dovremo inseguire le mutazioni creando sempre nuovi vaccini? O arriveremo ad un punto in cui il Sars-Cov-2 sarà un virus per così dire ‘perfetto’ per quanto riguarda il legame della Spike al recettore Ace2? Poi che succederà? Ovviamente non lo possiamo sapere, ma per evitare sorprese cerchiamo di proteggerci, e in fretta, con i vaccini che oggi abbiamo’.

(di Giovanna Turpini) gtu/