Coldiretti: in industria resiste solo alimentare grazie a export

Prandini: da Recovery plan un milione di posti di lavoro nei campi

FEB 23, 2021 -

Roma, 23 feb. (askanews) – In controtendenza rispetto al crollo generale dell’industria dell’11,5%, nel 2020 resiste solo l’alimentare che mantiene il fatturato sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente (-1%) salvato dall’export che fa segnare il record storico a 46,1 miliardi, in netta controtendenza rispetto agli altri settori produttivi. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat che registrano per l’industria il peggior risultato dal 2009, diffusa in occasione del Consiglio nazionale, alla presenza del ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli.

Al contrario degli altri settori simbolo del Made in Italy come il tessile e automotive, che registrano taglia drammatici, tiene la produzione delle imprese del comparto alimentare che – sottolinea la Coldiretti – diventa così la prima ricchezza del Paese. Un risultato ottenuto grazie alla fame di Made in Italy sulle tavole di tutto il mondo dove nonostante la pandemia Covid si registra – precisa la Coldiretti – un andamento positivo con un aumento dell’1,4% nel 2020 rispetto all’anno precedente. All’estero con il lockdown i consumatori stranieri non hanno fatto mancare la presenza dei prodotti più tradizionali dell’alimentare Made in Italy che mostra una grande capacità di resilienza nonostante le difficoltà degli operatori e dell’economia. La crescita della domanda di cibi e bevande all’estero – continua la Coldiretti – è trainata dalla Germania (+5,5%) che è il primo partner dell’Italia seguita dagli Usa (+5,2%) nonostante i dazi che hanno colpito i prodotti più significativi, sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero nei primi undici mesi del 2020.

“L’Italia puo’ ripartire dai punti di forza con l’agroalimentare che ha dimostrato resilienza di fronte la crisi e può svolgere un ruolo di traino per l’intera economia” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che nell’agroalimentare è possibile creare un milione di nuovi posti di lavoro green entro i prossimi 10 anni con una decisa svolta dell’agricoltura verso la rivoluzione verde, la transizione ecologica e il digitale.

“Digitalizzazione delle campagne, foreste urbane per mitigare l’inquinamento e smog in città, invasi nelle aree interne per risparmiare l’acqua, chimica verde e bioenergie per contrastare i cambiamenti climatici ed interventi specifici nei settori deficitari ed in difficoltà dai cereali all’allevamento fino all’olio di oliva sono alcuni dei progetti strategici cantierabili elaborati dalla Coldiretti per la crescita sostenibile del Paese”, spiega Prandini nel sottolineare che “dobbiamo ripartire dai nostri punti di forza con una decisa transizione ecologica e tecnologica per dimezzare la dipendenza alimentare dall’estero creando un milione di posti di lavoro da qui al 2030”.

L’allarme globale provocato dal Covid con i prezzi dei prodotti alimentari di base a livelli record ha fatto emergere una maggior consapevolezza sul valore strategico rappresentato dal cibo e dalle necessarie garanzie di qualità e sicurezza ma anche le fragilità presenti in Italia sulle quali – precisa Prandini – occorre intervenire per difendere la sovranità alimentare e ridurre la dipendenza dall’estero in un momento di grandi tensioni internazionali. In un momento difficile per l’economia e l’occupazione occorre intervenire con decisione per impedire le pratiche sleali che sottopagano gli agricoltori e gli allevatori. Occorre evitare – sottolinea Prandini – che i comportamenti scorretti di pochi compromettono il lavoro della maggioranza degli operatori della filiera ai quali va il plauso della Coldiretti per lavorare nell’interesse della filiera e del Paese.

Il problema delle pratiche sleali riguarda l’intero settore agroalimentare ed è necessario un serio intervento normativo del Parlamento ad integrazione della Direttiva UE 2019/633 arrivando a una normativa come in Spagna che impedisca l’uso di tali pratiche. Il massiccio ricorso alle offerte promozionali – conclude Prandini – non può essere scaricato sulle imprese agricole che rappresentano l’ultimo anello della catena e sono già costrette a subire l’aumento di costi dovuti alle difficili condizioni di mercato.