Un anno di Covid, Gualzetti: serve il coraggio di investire su poveri

Direttore Caritas Ambrosiana: sfida di Milano per tornare a crescere

FEB 22, 2021 -

Milano, 22 feb. (askanews) – Tra marzo e dicembre dello scorso anno il numero delle persone che hanno fatto la spesa presso gli Empori della solidarietà della Caritas Ambrosiana è aumentato del 121%. Il Fondo di assistenza diocesano ha aiutato 944 persone con le bollette o l’affitto, erogando oltre 1,3 milioni di euro. A 2.039 persone rimaste senza lavoro a causa del Covid il fondo San Giuseppe ha erogato 3,85 milioni di euro. Quelli appena elencati sono solo alcuni dei numeri che raccontano l’altra crisi, quella socio-economica, che la pandemia ha portato con sè. A un anno dalla scoperta del primo caso di Covid19 in Italia, abbiamo chiesto a Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana che opera nel territorio della Diocesi di Milano (Milano, Lecco, Varese, Monza e Brianza e relative provincie), di raccontarci cosa resta del modello Milano considerato vincente fino a un anno fa, quali fragilità ha portato a galla la pandemia e come si può ripartire.

“Milano era una città che stava vivendo un momento di grande espansione, dava molte opportunità non solo alla grande finanza ma anche ai cittadini che in qualche modo riuscivano a usufruire di questa ricchezza che circolava, con tanti lavoretti e lavori nuovi che arrivavano – ci ha raccontato Gualzetti – Poi improvvisamente tutto questo ha messo a nudo le fragilità che stavano sotto. Naturalmente quelli che erano ricchi, quelli che avevano una casa di proprietà, una casa adeguata per fare didattica a distanza per i loro figli, che avevano dei risparmi o avevano un lavoro garantito tutto sommato sono riusciti ad andare avanti in maniera dignitosa. La novità del lockdown, il cantare sui balconi, la solidarietà tra vicini, chiaramente sono aspetti che all’inizio hanno affascinato ed emozionato, però, dopo due tre settimane noi ci siamo accorti che c’erano molte persone che facevano la fila nei nostri empori, ai centri d’ascolto chiedevano una mano per pagare l’affitto perché non avevano più i soldi, avevano a casa i bambini da scuola e questi bambini non mangiavano più il pasto completo che prima era garantito dalla mensa scolastica, tutta una serie di di difficoltà che improvvisamente e immediatamente noi abbiamo registrato”.

Per capire le dimensioni del problema basti pensare che dal 18 ottobre 2020, data del Dpcm con il quale il governo ha imposto le nuove limitazioni anti contagio, le persone che sono ricorse agli Empori della solidarietà per fare la spesa sono aumentate del 45%, un incremento che si somma a quello registrato dopo il primo lockdown di primavera, durante il quale i beneficiari erano raddoppiati. In due mesi 3.160 impoveriti da Covid hanno dovuto fare affidamento su questa rete di assistenza per soddisfare un bisogno primario come il cibo, portando così gli utenti del servizio a superare quota 10mila. Altrettanto drammatico è l’andamento delle richieste di aiuto per il Fondo diocesano che eroga contributi a fondo perduto per le famiglie in difficoltà: dalle 25 domande ricevute a febbraio, a cui hanno corrisposto quasi 24mila euro di contributi, si arriva al picco di maggio con 161 richieste e 252mila euro di aiuti erogati. Nei mesi passati, ha sottolineato Gualzetti “abbiamo dovuto soccorrere o aiutare persone che non avevano più un reddito, la capacità di arrivare alla fine del mese. Qui c’è un segmento di ceto medio che non aveva tutte le garanzie e le tutele che noi magari diamo per scontate nel mondo del lavoro, o l’accesso a una casa dignitosa, in una città ovviamente molto costosa dal punto di vista del tenore di vita per il costo della casa e per gli acquisti dei generi di prima necessità”.

La perdita del lavoro è una delle più grosse difficoltà che Milano si è trovata a gestire: i lavoretti, di cui parlava Gualzetti, precari, senza garanzie all’improvviso sono venuti meno e in tanti hanno dovuto chiedere aiuto. Il fondo San Giuseppe, istituito dalla Diocesi di Milano in collaborazione col Comune, nei mesi passati è andato in soccorso di 2.039 persone. E se è vero che oggi oltre la metà di loro non riceve più i sussidi, a riprova dell’efficacia di questo strumento, per un 21% è stato necessario il rinnovo del contributo. Ma la novità non è solo nei numeri: l’identikit dei nuovi poveri ci dice che nel 45% dei casi sono italiani, contro il 55% degli stranieri, spesso coppie con uno o due minori (37,4%) seguite da famiglie con più di due figli a carico (12,9%). E soprattutto sono cassintegrati (37,3%) che hanno avuto un calo di reddito tale da non potere più sostenere le spese familiari di base, seguiti da coloro che non hanno visto rinnovarsi il contratto a termine (22,5%).

In questo scenario, di nuova emarginazione sociale ed economica, da dove può e deve ripartire, dunque, Milano una volta che l’emergenza sanitaria rientra? “Noi non possiamo chiudere gli occhi su quello che è successo, non possiamo sperare che una volta passata perché sono vaccinati tutti, perché poi non c’è più pericolo, allora ritorniamo a fare le cose prima – ha avvertito Gualzetti – Dobbiamo avere il coraggio di affrontare i nodi che sono emersi. La Caritas intercetta ovviamente le vittime, quelle che soffrono, quelle che rimangono indietro e per fortuna possiamo segnalarle come indicatori di qualcosa che non va. Non siamo quelli che vogliamo dire le cose non vanno a tutti i costi, però se c’è qualcosa che non va va affrontato perché conviene a tutti, conviene anche una Milano che vuole ritornare a crescere, a diventare la prima e non avere tra i propri cittadini qualcuno che non ce la fa arrivare alla fine del mese, qualcuno che rimane solo in casa perché c’è l’ascensore rotto nella casa popolare o sul pianerottolo non va la luce o in strada non è sicuro perché non c’è l’illuminazione”. “Queste indicazioni emerse dal Covid-19 saremmo stupidi, stolti se non le cogliessimo e se non le affrontassimo – conclude – Quindi Milano è condannata ad affrontarli, in senso buono, cioè dovrebbe vedere questo come una sfida esattamente come c’è la sfida per ritornare a far crescere il Pil c’è anche la sfida a investire sulle povertà perché questo porta benessere a quei poveri ma porta benessere anche a tutta la comunità perché tu reincludi quei poveri e quelle persone in difficoltà in un sistema economico che chiaramente porta ricchezza a tutti, ma anche in un sistema relazionale di fiducia reciproca che è quello che poi serve per una convivenza che abbia la speranza di costruire qualcosa nel futuro”.