Fenomeno Tik Tok, la sociologa: in lockdown il web amplifica rischi

"Giusto il divieto under 13, ma questione è più complessa"

FEB 5, 2021 -

Roma, 5 feb. (askanews) – Tik Tok tra pericolo e fenomeno sociale. Il social adotterà misure per bloccare l’accesso agli utenti minori di 13 anni e valuterà l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale per la verifica dell’età. Ne parliamo con la professoressa Olimpia Affuso, sociologa, docente di Comunicazione pubblica all’Università della Calabria.

“L’intervento del Garante della Privacy ritengo che sia stato assolutamente pertinente e necessario. Peraltro la normativa rispetto ai social era già in vigore e dovrebbe già essere difficile o impossibile per i minori ai 14 anni iscriversi ai social. Naturalmente il problema era che c’erano possibilità di aggirare questi limiti già in essere tanto che adesso il garante della privacy sta cercando di risolverli facendo affidamento sull’intelligenza artificiale. Questione che apre altri problemi: controllare i minori significa controllare i dati e questo sappiamo essere un altro elemento di vulnerabilità. La questione è complessa dal punto di vista della limitazione dell’accesso. E tuttavia è importante che ci siano queste regole non solo dal punto di vista giuridico ma anche perché il genitore e le famiglie possano, laddove non riescano a intervenire con il dialogo, far appello a un sistema normativo. Io credo che spesso le famiglie abbiano difficoltà a fermare questa tensione degli adolescenti a stare sulla rete perché oramai è un fenomeno da cui non si può prescindere”. “Addirittura – prosegue – su Tik Tok sono stati fatti da docenti piccoli video, nella fase del lockdown, per agevolare la fruizione di contenuti. Durante la pandemia e il lockdown sono stati utilizzati questi social. Come impedire l’accesso a uno strumento e a piattaforme che sono vita quotidiana anche nella formazione e che non sono soltanto spazi di pericolo ma anche spazi di socialità?”.

In una ricerca realizzata con l’Università di Perugia e l’Università di Calabria durante il primo lockdown è emerso come per i 18enni la Rete fosse diventato uno “spazio” claustrofobico per molti aspetti, ovvero lo spazio in cui fare cose di dovere: andare a scuola, l’unico spazio per frequentare gli amici. “Tutto questo – spiega la professoressa Affuso – rende conto della complessità della situazione, della complessità del limite all’utilizzo e all’accesso da parte di ciascuno di noi rispetto a queste piattaforme”.

Il Web “è diventato uno strumento attraverso il quale si giocano dimensioni di pericolo. Io credo che non si possa scindere la riflessione odierna dalla dimensione di lockdown che stiamo vivendo. Non si può scindere sebbene questa non sia l’unica cosa che ce la spiega. Le sfide attraverso i social le abbiamo viste e notate anche prima del lockdown, ma credo che con il lockdown la costrizione a stare a casa abbia portato dentro casa alcune esperienze tipiche dell’adolescenza che potevano avvenire prima fuori casa e magari in età più tarda”.

“La questione che ci deve fare riflettere molto è l’età della ragazza, 10 anni, un’età in cui forse ancora non si fanno questi tipi di esperienze nella vita reale. Ma in una dimensione in cui la vita reale e quella online sono così tanto compenetrate, diventa difficilissimo per il ragazzo discernere tra reale e virtuale, discernere il limite, la simulazione, il pericolo. Anche quelle dimensioni di esperienza che riguardavano la sfida del pericolo, prima avvenivano in ambienti diversi in cui ci si confrontava con i coetanei e c’era qualcuno che ti aiutava a non andare oltre il limite. Io credo che questo sia molto rafforzato dalla dimensione del lockdown”.

Recentemente diversi sono stati i casi di ragazzini morti in seguito a presunti “giochi” pericolosi sulla piattaforma Tik Tok. “Esperienze pericolose gli adolescenti le hanno sempre fatte – sottolinea la sociologa – Guardare alla tecnologia come la causa scatenante ci porta di fronte alla difficoltà di comprendere invece in che termini la tecnologia amplifica il fenomeno. Non è la tecnologia la causa ma sicuramente ne amplifica alcuni aspetti”.

(di Serena Sartini)